La signora dell’arte. Maria Grazia Lungarotti: ha dato un nome a due musei e a quattro vini di MARISA FUMAGALLI CORRIERE DELLA SERA 6 set 2010 Roma
Troppo facile chiamarla «signora del vino». Certo, alla vite e alla viticultura si dedica da una vita. Lei ha inventato il « Rubesco » , marchio celebre diventato sinonimo dell' azienda di famiglia. Lei ha avuto la felice intuizione di collegare il vino alla cultura e al turismo. Lei ha creato un paio di musei, che attirano visitatori da tutto il mondo. Insomma, Maria Grazia Marchetti Lungarotti, 84 anni, nata a Gubbio, tre figli da due matrimoni (il primo marito, il magistrato Luigi Severini, morì molto presto), è una di quelle donne che lasciano il segno. Eppure, i numerosi riconoscimenti avuti da prestigiose istituzioni non l'hanno trasformata in un monumento. La sua testa e il suo cuore continuano sfornare idee. «Oggi, al mio fianco ci sono le figlie Teresa e Chiara. Prima, c'era lui, Giorgio, con il quale ho condiviso molte avventure - dice - È scomparso nel 1999, il nostro è stato un lungo e proficuo sodalizio». Maria Grazia Lungarotti ha il portamento fiero, lo sguardo dolce. E una storia da raccontare. Che potrebbe riassumersi così: come aggirare un marito che si dedica a un progetto importante coinvolgendo la moglie, mentre lei, quasi tramando alle sue spalle, ne realizza uno migliore. Grandioso.
Per entrare nelle trame di Maria Grazia, che narrano di vino e archeologia, occorre fissare un punto fermo: la signora Lungarotti, laureata in Lettere alla Sapienza, coltiva da sempre una passione forte, l’arte. Nella regione in cui è nata e vive, l’Umbria, l’arte è elemento naturale, il respiro del territorio. La sua avventura è qui. Dentro il Museo del Vino, aperto al pubblico nel 1974, a Torgiano, nella pars agricola del secentesco palazzo Graziani-Baglioni. «L'idea venne a Giorgio - racconta - ispirandosi a ciò che andavamo vedendo durante i nostri viaggi in Francia. I musei della civiltà contadina, tra rivendicazioni sociali e nostalgie folcloristiche, erano in voga, allora. In mostra, c’erano botti e attrezzi agricoli, antiche bottiglie, cavatappi, suppellettili. Mio marito aveva in mente una cosa così. Io, invece, volevo lavorare a un’idea di ampio respiro. Pensavo cioè che si potesse applicare alle arti minori la mia visione dinamica delle esposizioni: narrare, attraverso l’arte, usi, costumi, economia, società. In una parola, la Storia».
«Mentre Giorgio cercava attrezzi, facevo ricerche di archivio, consultazioni bibliografiche, inchieste sul terreno - continua Maria Grazia Lungarotti - Quindi, cominciai a pensare ai pezzi archeologici da raccogliere». Il primo colpo fu l'acquisto di una kilyx (VI secolo a.c.), con iscrizione firmata da Phrinos. «Sapevo che di queste coppe antiche ve n’erano 3 in tutto il mondo: una a Boston, una al British Museum e la terza si trovava da un grosso collezionista. La ottenni da lui, pagandola 5 milioni di lire. Erano gli anni ’60», osserva. Per fortuna, la signora disponeva di un patrimonio personale che le consentì di muoversi senza dipendere dal marito. «Ma poi - dice, in tono scherzoso - ebbi modo di farmi restituire la somma da Giorgio». Un altro pezzo di cui va molto fiera è una grande hydria del XIV secolo con centauro leontiforme e sirena, che proviene dalla bottega di Orazio Fontana. «Quando l’acquistai, era frantumata in grossi pezzi - spiega - La portai a Liverani, direttore dell’Istituto della ceramica di Faenza, che la ricompose con un restauro esemplare. Infine, mostrai a Giorgio i miei tesori». Il risultato è un Museo del Vino con pochi competitori al mondo e un flusso annuale di 20.000 visitatori. Dal 1974. E, nel Duemila, un anno dopo la scomparsa di Giorgio Lungarotti, apre il Museo dell’Olivo e dell’Olio, ispirato alla stessa filosofia. Nel frattempo, Maria Grazia diventa direttrice della Fondazione Lungarotti, che promuove la salvaguardia del patrimonio ambientale, culturale ed artistico. La cultura e il gusto della «signora del vino» entrano anche nelle attività strettamente imprenditoriali della famiglia: nel relais le «Tre vaselle», nell'«Osteria del Museo»; e, naturalmente, in cantina. Dove la creatività si è espressa nel trovare nomi di charme per le etichette delle bottiglie Lungarotti. Conferma: «Almeno quattro sono sicuramente inventati da me: Rubesco, Falò, Brezza, Aurente».
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