CAMPANIA - Teatro Festival la cultura che serve DANIELE PITTERI GIOVEDÌ, 09 SETTEMBRE 2010 LA REPUBBLICA - Napoli
Avere una politica culturale significa possedere una visione strategica complessiva della cultura e mettere in atto risorse e attività in modo continuativo. Significa pensare alla cultura come qualcosa di dinamico, un laboratorio e una sperimentazione costanti, capaci di generare sviluppo sociale, elevazione culturale e aumento della scolarizzazione, ma anche crescita dei mercati culturali e soprattutto spillover (ricadute in forma di stimoli, contenuti e indirizzi) verso altri settori dell´economia, dai servizi, al turismo, all´industria manifatturiera in particolare. Rispondendo a un intervistatore, Gianni Versace ebbe a dire che se in Italia esiste un´altissima concentrazione di stilisti lo si deve al fatto che qui c´è stato il Rinascimento e che ci sono i migliori tessitori e i miglior produttori di macchine tessili. Cultura, artigianato, industria. Dotarsi di una politica culturale significa, allora, pensare alla cultura come una risorsa destinata innanzitutto alla propria collettività. Significa avere una politica interna della cultura, ossia una visione e un progetto tesi a generare un clima utile e fecondo per la comunità che, forte e consapevole del patrimonio prodotto e accumulato nel passato, si alimenta coi bisogni, le istanze e le idee generate giorno dopo giorno dalle persone e dalle imprese. Personalmente non penso alla cultura come un giacimento. I giacimenti si esauriscono, il patrimonio culturale no, anzi, può essere continuamente rivitalizzato, reinventato, reinterpretato, lavorato e raffinato. Gli unici soggetti adibiti a farlo sono gli enti pubblici centrali e locali, perché sono loro che posseggono la proprietà e la titolarità del patrimonio culturale e perché da essi dipendono le grandi istituzioni culturali. Ma per farlo debbono convincersi che la cultura non è una spesa, ma un investimento, debbono capire che la cultura fa Pil, che la cultura rende i territori e i suoi abitanti ricchi non solo spiritualmente, ma anche economicamente. Debbono capire che non possono limitarsi a conservare, gestire, tutelare e finanziare il patrimonio e le attività culturali decidendo ogni 6 mesi quante e quali risorse destinare, né possono puntare solo sui grandi numeri generalisti. Il loro compito è valorizzare il patrimonio, creare le condizioni per trasformarlo in prodotti diversificati in grado di incontrare i gusti e le aspettative di una molteplicità di pubblici interni ed esterni. Soprattutto, il loro compito è favorire la produzione di nuova cultura. In Giappone lo hanno fatto, semplicemente razionalizzando le risorse investite e puntando sulla cultura come leva di sviluppo economico. In soli quattro anni si sono registrati un aumento sensibile dei consumi culturali interni, una crescita del turismo, e una progressiva affermazione di un carattere made in Japan nella produzione di beni e di prodotti. È evidente che dentro questa logica gli eventi e i prodotti culturali hanno un ruolo preciso, purché ci si liberi dall´idea che essi siano degli attrattori turistici. La funzione dei grandi eventi e dei grandi prodotti culturali come i musei contemporanei è generare sui territori una serie di ricadute stabili in termini di flussi economici, di flussi di pubblico/visitatori, di flussi turistici, di infrastrutture e di identità culturale. Servono a determinare una politica di marca territoriale, a definire e a fortificare in maniera più o meno precisa la specificità di offerta di un territorio, intesa come insieme delle attività culturali e produttive, economiche e ricreative. Qui invece si ragiona sempre con l´idea del grande evento mediatico, il G8, i mondiali di uno sport di punta, la Coppa America. Si punta al colpaccio, all´evento risolutore, quello che dà lustro effimero al territorio e a chi lo governa. I grandi eventi, invece, possono servire a costruire quotidianità, sono la base per la determinazione di una politica culturale duratura e di prospettiva. In quest´ottica, e pur nella loro diversità, il Forum delle Culture e il Napoli Teatro Festival possono essere determinanti. Il Forum, se ben gestito, potrà contribuire a riqualificare spazi e luoghi urbani, ad attivare una dinamica di scambio e di relazione internazionale a trarre insegnamenti e spunti per modernizzare il territorio. Ma il vero grande evento, il nucleo centrale su cui conformare un modello di politica culturale è il Napoli Teatro Festival, perché non è episodico, perché ha acquisito grande prestigio presso la stampa nazionale e internazionale abbattendosi come una piccola catastrofe sulla formula stantia dei festival teatrali, rivoluzionandone il concept, inventando un modello innovativo basato sul rapporto stretto con la città diffusa e con tutte le sue culture, sull´idea di produrre spettacoli in partnership con grandi istituzioni mondiali (e quindi di produrre nuova cultura invece di limitarsi a presentare prime assolute concepite altrove), sull´idea di coinvolgere con un processo di agglomerazione successiva altre realtà culturali, artistiche, imprenditoriali, tecnologiche esistenti sul territorio. Gli eventi culturali, questi eventi culturali servono, sono la base per un´idea di cultura non asfittica, non mortificata da discussioni sui tagli e sulle cariche.
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