Roma. Palazzo in festa. Barberini, così nasce la Galleria d'Arte Antica Fabio Isman Messaggero - Roma 18/9/2010
Storia e vicissitudini del capolavoro di papa Urbano VIII Tornano a splendere 24 sale, molte finora negate, del maestoso e storico edificio nel cuore di Roma Un lungo e complesso lavoro di restauro di ricerca e di studio per decine di esperti
Nel 1625 il cardinale Maffeo Barberini è già Papa Urbano VIII da due anni: fiorentino (da Barberino in Val d'Elsa: famiglia di mercanti, arrivata a Roma appena nel 1530; nel 1722, si estingue con una Cornelia), lo hanno eletto tra la malaria e l'afa estiva. Durerà in carica 21 anni, quasi un primato; chi studia queste faccende, lo definisce «mecenate e nepotista al massimo grado». Non troppo amato: Pasquino dice: «Urbano VIII dalla barba bella I finito il giubileo, impone la gabella»; tante tasse per finanziare opere, non solo pubbliche. Bene: nel 1625, Urbano VIII, il cui palazzo era a via dei Giubbonari, decide di spostarsi pi vicino al Quirinale, la residenza estiva dei Pontefici; e dove era il Circo di Flora, acquista per 550 mila scudi una villa dagli Sforza, le cui ricchezze erano sfiorite. Palazzo Barberini nasce da qui. Vi metteranno mano e progetti tre architetti dei più celebrati: di Cesare Maderno l'edificio; il giovane Francesco Borromini lascia la scala elicoidale e certe capricciose finestre sulla facciata verso il giardino; Gian Lorenzo Bernini, l'altro scalone, la facciata sul giardino e il finto «ponte ruinante», che lo unisce al primo piano. Di Pietro da Cortona Il trionfo della Divina Provvidenza sotto il papato di Urbano VIII, capostipite dei soffitti barocchi romani, forse mai eguagliato (anche se qualcuno scriveva: «Api talmente pasciute, da sembrare fagiani»). E' il Papa a dare l'impronta al periodo: trova in Bernini l'artista di genio cui fare realizzare i capolavori, primo il baldacchino sul sacello di San Pietro. Dopo 170 anni di fatiche, Urbano consacra la nuova chiesa della Cristianità nel 1626, l'anno dopo l'inizio del Palazzo che ne eterna il cognome; i lavori sarebbero poi continuati, ed il celebre Colonnato è datato 1667. Ma le api dei Barberini, in città, si trovano un po' dappertutto. E con le opere, i porporati. Lo diventano il fratello cappuccino, due nipoti: così assai rimpolpando le sostanze di famiglia; si calcola perfino più di 100 milioni di scudi, infiniti gli studi in proposito. «Ohimé non ho più un quattrino; il mio l'ha tutto il Barberno» era un'altra pasquinata ; prelevate addirittura le travi in bronzo dall'atrio del Pantheon, per fortificare ed altro: sicché «quod non fecerunt Barbari / fecerunt Barberini». Ed è lui a processare Galileo, nel 1633. Il suo palazzo era, ed è, meraviglioso; tra i più insigni nella città, una reggia che tutti ammirano. Vantava anche un teatro da 3.500 posti: come, oggi, la sala maggiore dell'Auditorium di Piano. Lo ammira Thomas Milton; tra gli scenografi c'erano Bernini e Pietro da Cortona; nel 1639 si recita la commedia Chi soffre speri di Giulio Rospigliosi, futuro Papa Clemente 1X, che scrive anche le parole del Sant'Alessio, note di un autore ormai dimenticato, Stefano Landi, e scenografie di Bernini: il primo libretto con un protagonista. Però è distrutto da Marcello Piacentini, il regolatore della Roma fascista, al pari dello sferisterio per il «gioco del bracciale». Nel 1902, finisce in Vaticano la preziosa biblioteca. Seminati tra Vaticano, Minneapolis, New York e altrove gli arazzi. Dispersa la collezione d'arte, perché il Duce cancella nel 1 934 il salvacondotto che la teneva unita; così, in parte è venduta (addirittura) negli Anni 50 del secolo appena trascorso: tra i capolavori che emigrano, anche I Bari Caravaggio, ora al Kimbell Art Museum di Fort Worth, nel lontanissimo Texas; un Dürer a Minneapolis; tavolette a Boston e a New York, e via elencando abbondantemente. Il Palazzo era ancora fiorente nel Settecento, con Cornelia Costanza che sposa un Colonna di Sciarra; e l'appartamento al secondo piano viene tutto decorato per l'occasione. Poi però decadrà; ci vive in affitto (e muore) la marchesa Anna Casati, madre di Camillo, il cui doppio omicidio-suicidio accadde giusto 40 anni fa. Attorno, tanti foschi delitti, come quello di cui dice Stendhal: i sicari dell'amante di Vittoria Accoramboni per uccidere il marito di lei, nipote di Papa Sisto V. Un giorno, Quintino Sella lo voleva come reggia, racconta uno dei discendenti; il giardino arrivava fino a Largo di Santa Susanna e nel secolo ormai scorso era tutto incolto; esisteva, ma era stato dimenticato, anche lo statuario : preposto a spolverare le sculture; qui dentro, D'Annunzio fa incontrare i due protagonisti del Piacere (abitava proprio accant: a via Quattro Fontane angolo via Rasella); in piazza Barberini, sostavano gli armenti. Ed è servito come scena per molti film: pure Vacanze romane, con Audrey Hepburn e Gregory Peck. Se sfolgorante è la storia antica dell'edificio, assai meno lo è quella più recente. Lo Stato l'acquista per 600 milioni nel 1949; ma Maria Barberini ci vive finché se ne va, sei anni dopo. Mezzo secolo occorre invece perché se ne vada il Circolo ufficiali, installato dal 1934, che non pagava nemmeno più la pigione, scaduta: dove ospitava a pagamento le feste di nozze, la famiglia d'antica nobiltà papalina ne aveva data una per la sconfitta di Garibaldi a Mentana. Mica una vita fa, ma pochissimi decenni or sono, molti erano ancora in affitto,e per sfrattarli ce ne vuole: dall'ex custode, al barbiere dei militari. Dai Barberini, al barbiere: Ronchey riesce dove tanti altri aveva fallito; anche Spadolini, il repubblicano Spadolini. Oggi, 61 anni dopo che fu comperato espressamente per questo, il Palazzo diventa la Galleria d'Arte antica, che alla Capitale d'Italia mancava: lo si scriveva già nel 1883, all'atto della donazione Corsini. Agli eredi della famiglia sono rimasti i libri con mille fotografie: la Regina Margherita, con la sua collana di 16 file di perle; gli uomini con il cilindro. Glorie estinte, ma una Galleria, finalmente, tutta ritrovata; e il Palazzo (ma non solo) è oggi in festa.
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