BISCEGLIE - L’AFFRESCO RITROVATO - Il San Cristoforo della Cattedrale: un nuovo tassello di storia e di memoria collettiva Il Biscegliese, settembre 2010
Serata memorabile per L’Associazione per la Difesa del Centro Storico
Il ritrovato affresco di San Cristoforo, opera del molfettese Vito Calò (1809), sul prospetto esterno dell’edicola monumentale che fu già cappella dell’Addolorata e prima ancora di San Biagio. Il restauro è stato eseguito dalla nostra concittadina Agnese Sasso.
Nel “Preambolo” ai “Principi per la conservazione ed il restauro del patrimonio costruito - Carta di Cracovia 2000” si enuncia un concetto del tutto innovativo, frutto di una sensibilità maturata solo in tempi relativamente recenti e cioè che vi è, in generale, una consapevolezza sempre più avvertita di attraversare un momento esistenziale e culturale in cui “le identità, pur in un contesto generale sempre più allargato, si caratterizzano e diventano sempre più distinte” e che tale consapevolezza attribuisce ad ogni comunità la responsabilità diretta “dell’identificazione e della gestione del proprio patrimonio”; una “ricchezza” da individuarsi lungo i sentieri di una memoria collettiva che, nel tempo, deve riaffiorare e sedimentarsi nella coscienza comune attraverso processi conoscitivi utili all’acquisizione del proprio passato. Ogni elemento, dunque, che da quel passato emerge, si fa “portatore” dei valori di quel patrimonio comune, assume il ruolo di monumento ovvero di testimonianza di una specificità: diviene oggetto di identificazione plurale (e condivisa) e, come tale, va tutelato. Centro Antico o ambiente naturale, entità architettonica o urbanistica o paesaggistica oppure singolo manufatto che sia, è indubbio che un processo evolutivo che risulti culturalmente e socialmente significativo debba passare attraverso il recupero della memoria del luogo, che è spazio fisico e mentale - ed anche spazio del cuore - e che la sopravvivenza di ogni racconto, come ho già scritto, non possa prescindere innanzitutto dalla conservazione materiale del contestuale patrimonio culturale, da concepirsi in modo che ogni elemento, riconosciuto come appartenente a quel patrimonio, non perda le sue espressioni di autenticità, affermando il suo valore iconemico. Il patrimonio culturale è un “complesso di opere dell’uomo” non sostituibile da altri beni simili: è, in senso lato, un “bene infungibile”; per questa ragione il vigente “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” ne impone la conservazione: “Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza.” (Art. 30, comma 1) Inoltre: “I beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione. (Art. 20, comma 1). Affermando e incarnando questi princìpi, ben prima della “Carta” o del “Codice” (2004 e s.m.i.), l’Associazione per la Difesa del Centro Storico di Bisceglie ha sin dalla metà degli Anni Novanta inteso offrire alla città momenti (importanti) di riflessione in tal senso, a cominciare dalla insuperabile “Intra Moenia”, ormai leggendario riferimento (manifesto o subliminare) per ogni evento che riguardi il Centro Antico, alla recente iniziativa che ha promosso il restauro dell’affresco di San Cristoforo, dipinto da Vito Calò sulla parete Sud della Cattedrale di Bisceglie (1809). Davvero la conferma, questa, di un ”marchio di qualità”, una iniziativa che come sempre ha rivelato valori aggiunti in quanto ad originalità, contenuto culturale, concretezza; e la manifestazione di presentazione alla città dell’opera “ritrovata”, tenutasi il 9 luglio scorso fra il “martoriato” Largo del Duomo e l’auditorium del nostro magnifico Museo Diocesano, ha evidenziato appieno tutte le caratteristiche sopra citate: la concretezza, perché appunto riconsegnava alla città, affinché ne rimanesse arricchita, un dipinto che nessuno ricordava più esistere, il contenuto culturale, in quanto riuniva in una sola serata personaggi della levatura di Mons. Pietro Amato, Direttore della Sezione Lateranense dei Musei Vaticani, di Ruggero Martines, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, di Andrea Pisani Massamormile, Presidente di Banca Carime. Infine l’originalità, perché il tema trattato, “il dipinto, il restauro, l’autore, il contesto”, ha offerto lo spunto per una articolata serie di argomentazioni, perfino insolite ma sicuramente di grande interesse. In una sala oltremodo gremita, il Notaio Piero Consiglio, Presidente dell’Associazione, ha introdotto la cerimonia soffermandosi sul Calò e sulle sue opere, con particolare riferimento a quelle già esistenti nella nostra “Ecclesia Maior” e poi distrutte durante i restauri dei primi Anni Settanta del Novecento, non eludendo, nel contempo, le tematiche care all’Associazione, quelle cioè riguardanti la “rinascita” del Centro Antico, ribadendo per l’ennesima volta l’opportunità (la necessità improcrastinabile) di predisporre linee guida a valere per gli interventi negli spazi pubblici. Monsignor Amato ha poi intrattenuto sulla genesi e la diffusione, attraverso la circolazione di immagini a stampa, dell’iconografia di San Cristoforo e sulle ragioni della sua fortuna. L’Architetto Ruggero Martines ha quindi illustrato i motivi per i quali i restauri delle nostre cattedrali e dei nostri monumenti in genere, a partire dal 1860 e fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, siano stati tutti orientati a recuperarne la “facies” romanica (una autentica crociata di “liberazione” contro il “barocco incrostatore”, “un’arte posteriore presuntuosa ed invadente”, come ebbe a dire Carlo Ceschi alla fine degli Anni Trenta del Novecento, riguardo alla sua idea di restauro applicata nel cantiere di Santa Maria degli Amalfitani a Monopoli): secondo il Martines, ciò sarebbe il portato di quella cultura post-unitaria tesa a ricercare un qualche elemento unificante la frammentaria storia nazionale, elemento che, appunto, andrebbe individuato in quel “romanico” che, proprio qui in Puglia, seppe esprimere momenti artistici di grande respiro, complessità e soprattutto originalità, innestandosi “tra il linguaggio bizantino e quello lombardo”. In realtà, nel caso del monumento biscegliese, le relazioni di restauro (1965-1970) dell’Architetto Mario Berucci, profondo conoscitore del Romanico di Puglia, già mostrano un atteggiamento di “sofferenza” nei confronti di quelle posizioni radicali: il dibattito si era nel frattempo arricchito della “Teoria” di Cesare Brandi (1963), della “Carta di Venezia” (1964) e andava maturando (1974) la fondamentale “Carta Italiana del Restauro” (i più attuali orientamenti tendono invece a “compartimentare” il pensiero brandiano alle espressioni più propriamente d’Arte che all’Architettura). Ma se i guasti passati si collocano in un contesto culturale in piena fermentazione critica (in fondo gli intarsi marmorei policromi della cripta quattrocentesca o dello splendido altare maggiore voluto dal Sarnelli fra il 1692 e il 1695 sono ancora lì), di fatto ingiustificabili appaiono i guasti recenti, a cominciare da quella gratuita proposizione di un nuovo pavimento (spero) “galleggiante”, in Pietra di Trani (conosciamo bene le ragioni di questa scelta), per finire alla “chicca” dei faretti incassati a pavimento dei portali in forma di segnapasso, come se si stesse allestendo un cinematografo o una boutique e non intervenendo su di una “regina” (la più pagata top-model non si farebbe mai operare d’appendicite da un chirurgo qualsiasi)! Per non dire di quella inguardabile rampa per disabili accatastata come scarti di falegnameria sul fronte del portale cinquecentesco, proprio là dove è ora riapparso, come una speranza che si rinnova, il San Cristoforo: dei banali montascale mobili o salicale elettrici (attrezzature per il superamento delle barriere architettoniche poco più grandi di mezzo passeggino) avrebbero certo scongiurato la fastidiosa alterazione percettiva della facciata, indotta da accorgimenti improvvisati (e volgari), che perfino il più sprovveduto osservatore riesce ad avvertire.
Un esempio eclatante di provvisione per il superamento delle barriere architettoniche non consono al contesto monumentale cui afferisce.
Tornando alla memorabile serata, il Dott. Andrea Pisani Massamormile, rappresentante dell’Ente che ha sostenuto finanziariamente il restauro dell’affresco, ha piacevolmente chiuso i lavori, sorprendendo il pubblico con avvincenti profonde considerazioni, al limite con la filosofia, circa il rapporto tra economia, cultura ed etica, concludendo come le ultime due siano necessari antecedenti della prima. In sala S.E. Rev.ma Mons. Giovan Battista Pichierri, Arcivescovo di Trani-Bisceglie-Barletta e Nazareth, che in precedenza aveva benedetto l’opera restaurata, il Sindaco, Avv. Francesco Spina, sempre entusiasticamente presente ed attento a quegli eventi che conferiscono spessore alla città che così appassionatamente rappresenta, il Vicesindaco nonché Assessore al Centro Storico Sen. Francesco Amoruso, che sta tra l’altro curando personalmente il tanto atteso ritorno (dopo un sofisticatissimo restauro) de “Il Trionfo dell’Eucarestia”, la monumentale tela dipinta nel 1773 da Nicola Porta (allievo di Corrado Giaquinto) e che costituiva il plafone della volta posticcia in cameracanna della Cattedrale, l’Assessore Enzo Di Pierro, i presidenti delle principali associazioni cittadine. L’On. Sergio Silvestris, impedito per ragioni del suo Ufficio, ha fatto pervenire un messaggio di saluto. Un pubblico fittissimo e partecipe ha decretato il successo della manifestazione con prolungati applausi, come di consueto avviene per le iniziative promosse dall’Associazione per la Difesa del Centro Storico; non è mancato un caloroso unanime invito finale a riproporre con più frequenza eventi così qualificati (e qualificanti), a dimostrazione di quanto seguito incontrino ormai le tematiche proposte dal Sodalizio e quanto sempre più corale sia quel sentimento di “appartenenza” che, proprio nella vivida costellazione di una “microstoria”, ritrova motivi di identità e di orgoglio collettivo. Il patrimonio monumentale locale è l’espressione diretta e compiuta di quella (micro)storia e, se ben conservato e soprattutto fruito, costituisce un efficace parametro di lettura del livello socio-culturale di una comunità, un’occasione di miglioramento della qualità della vita ed anche, non da ultimo, di sviluppo economico, là dove si riesca a commutare un bene culturale in risorsa materiale senza snaturarne i contenuti, intrecciando in maniera “sostenibile” i processi innovativi al patrimonio storico-architettonico, artistico, all’ambiente, all’estetica (naturale e culturale) del paesaggio: in generale, alla specificità dei luoghi (soft economy). Gianfrancesco Todisco gian.tod@libero.it
(Agosto 2010)
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