GENOVA - Drappi a lutto sul Carlo Felice "Viviamo qui, a casa non ci mandate" DONATELLA ALFONSO MARTEDÌ, 28 SETTEMBRE 2010 LA REPUBBLICA Genova
Scaduto senza risposte l´ultimatum del Cda ai sindacati "Non accettiamo la cassa, noi non costruiamo macchine, facciamo cultura" FUORI il lutto, dentro la fame. Segnali forti, quelli che i lavoratori del Carlo Felice hanno deciso di dare ieri pomeriggio, nel giorno in cui avrebbero dovuto, di massima, rispondere alla lettera inviata dai vertici del teatro, quella che chiede loro di accettare la cassa integrazione in deroga per quattro mesi, condizione imprescindibile per avviare il piano di rilancio, così come ha chiarito anche il ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi. «Non accettiamo la cassa integrazione - è la risposta dei lavoratori - noi non produciamo macchine, facciamo cultura. L´ultimatum è scaduto, ma non è arrivata alcuna proposta concreta». Così, la lettera firmata dal sovrintendente Giovanni Pacor e Renzo Fossati è rimasta lì, morta. Come un segno di morte, assolutamente teatrale, è quel grande telo nero che un gruppetto di tecnici e impiegati ha fatto scendere nel primo pomeriggio di ieri sul colonnato del pronao, mentre altri "fiocchi" neri segnavano tutto il perimetro del Teatro, nonché l´entrata degli artisti nel torrione di via Vernazza. E, all´interno, due orchestrali – Claudio Binetti, corno inglese, e Paolo Zaccarini, contrabbasso – insieme ad Ignazia Campese, addetta alle biglietterie, hanno dato ufficialmente il via allo sciopero della fame. Erano le 15.30, il tempo capriccioso non invitava a collocarsi all´esterno: i tre digiunanti hanno deciso di restare in teatro, dove peraltro i lavoratori in assemblea permanente entrano ed escono. Oggi, invece, un gazebo dovrebbe essere montato proprio davanti al colonnato. «Andremo avanti a oltranza. Se si renderà necessario, qualcuno ci darà il cambio più avanti», spiega Claudio Binetti, considerato uno dei professori d´orchestra più preparati e anche una delle voci più ascoltate in teatro. Tensione e volti scuri, a tutti i piani del torrione. Ma il lutto preventivo non si addice al Teatro, perché, al di là delle accuse dei sindacalisti autonomi e della paura di un po´ tutti i lavoratori, nessuno vuole chiudere. Ma la paura che possa accadere, è vera. E anche se è scaduto l´ultimatum, ora scatta il tempo della trattativa: un tavolo di confronto non-stop, che dovrebbe decollare domani, mercoledì. E andare avanti fino alla ventiquattresima ora, anzi dopo. «Una soluzione vogliamo trovarla», dice Renzo Fossati, direttore di staff, che ieri ha avviato i contatti con tutte le sigle sindacali. «Un´intesa ci vuole, ascolteremo anche le loro proposte», assicura l´assessore alla Cultura Andrea Ranieri. Così Marta Vincenzi e il Cda si preparano alla trattativa infinita, i cui termini sono peraltro tutti da definire, anche se oggi, pioggia permettendo, il gazebo con gli scioperanti della fame sarà montato davanti al pronao, nel cuore di De Ferrari. Un´esperienza già provata, quella dello sciopero della fame, dopo quello del la primavera 2009 per il fondo pensioni; ma adesso è un´altra storia. E quanto sta accadendo al Carlo Felice è negli occhi e nel cuore di tutti gli enti lirici italiani. Ieri a Torino, presentando la nuova stagione lirica del Teatro Regio (bilanci in attivo e mille abbonati in più), il sovrintendente Walter Vergnano ha sottolineato i rischi: «Abbiamo sempre basato i nostri progetti sulle risorse reali e non su quelle attese. Ma se gli enti finanziatori, in primis lo Stato e poi gli enti locali, dovessero fare ulteriori tagli, neppure noi saremmo esenti da un rischio Carlo Felice di Genova».
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