Cultura, la Regione non può decidere che cosa tagliare Emanuela Minucci Stampa – Torino 28/9/2010
L'assessore Perone: Loro facciano le regole generali ma l'ultima parola sui fondi tocca a Provincia e Comune Nel mirino: «Ci sono tante spese inutili da eliminare come le consulenze»
Lui è l'assessore alla Cultura che nel 1999 voleva comprare un meraviglioso crocifisso attribuito al Giambologna alla non proprio modica cifra di 4 miliardi e 200 milioni. L'acquisto - vista la cifra - finì nella bufera (e poi anche in Procura) e l'ex sindaco Castellani lo congedò. Sono passati undici anni da allora, ma in realtà pare preistoria visto che la divisione Cultura del Comune oggi non ha più i soldi per comprare i libri da mettere nelle biblioteche. Chi allora meglio di Ugo Perone, oggi assessore alla Cultura della Provincia può intervenire sulla polemica dei tagli? E lui ha scelto di farlo criticando la gestione dei fondi da parte della Regione che «non deve entrare nel merito delle spese, ma dettare degli indirizzi generali». Assessore Perone, in che senso la Regione deve limitarsi a fornire indirizzi e non entrare nel merito dei singoli stanziamenti? «Nel senso che la Regione non deve decidere i singoli, piccoli contributi. Deve fare leggi, fissare regole generali, ma lasciare a Comune e Provincia la facoltà di decidere come ripartire le cifre. Si dice che si taglia per una certa percentuale? Benissimo, poi però spetta agli altri enti, che hanno una ricaduta pratica sul territorio, vedere in che modo ripartire queste risorse. Lo dico anche perché questo fatto di non delegare provoca anche un dispendio di risorse umane». Vale a dire? «Ci sono tantissime realtà in cui finiamo in tre: l'assessore al Comune, alla Regione e alla Provincia. Tutte queste presenze inutili. Passi per consigli importanti come quello dello Stabile o dell'Egizio, ma anche all'Istituto Storico per la Resistenza ci si ritrova sempre in tre. E' tutto terribilmente inutile. C'è un dispendio di tempo e una sovrapposizione di ruoli». E sulla polemica sui tagli che dice? «Dico semplicemente che saranno finiti i tempi delle vacche grasse, ma tagliare sulla cultura è semplicemente folle: rappresenta il 3 per cento dei bilanci. E in ogni caso anche tagliare sulla cultura significa licenziare persone e mettere alla fame della gente. E poi non dimentichiamolo: è proprio grazie all'immagine che Torino è riuscita a crearsi in questi anni che la città è in grado di attrarre turisti e quindi produrre risorse. Ma ricordate com'era Torino nel 1993?». Faccia un esempio di positiva ricaduta economica della cultura. «Ricorda quando il Salone del Libro ha diffuso quell'indagine secondo la quale per un euro investito se ne sono poi prodotti 5,2 di indotto? Quello è un esempio, fra i tanti». Quindi dove può risparmiare un Comune che affoga nei debiti? «Fatto salvo per il welfare, dato che scuole ed ospedali sono intoccabili, ci sono un sacco di spese che sono ancora riducibili. Penso ai Lavori pubblici, alle spese per le consulenze, agli architetti e agli ingegneri profumatamente pagati per progetti che magari non sono proprio irrinunciabili. E poi perchè un bus deve avere la precedenza su un museo? Sa, il famoso diritto alla mobilità. Oltretutto sostenibile... «Certo, ma se un bus costa troppo perché non deve essere considerato uno spreco? E poi pensare, far muovere la mente, è forse meno importante che muoversi in città? «Togliere fondi vuoi dire licenziare, ma è curando la sua immagine che Torino è diventata attraente».
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