Lo Stato abbandona archivi e biblioteche: così si affossa la ricerca storica Paolo Acanfora Giornale di Brescia 7/10/2010
In questi ultimi giorni sulle pagine del Corriere della Sera, lo storico Ernesto Galli Della Loggia ha voluto pubblicare una lettera aperta al ministro dei Beni culturali Sandro Bondi portando alla sua attenzione la disperata situazione della Biblioteca Nazionale di Firenze, alla quale nell'immediato futuro saranno decurtati notevolmente i già scarsi finanziamenti a disposizione. II rischio conseguente (ed in realtà già operante) è l'impossibilità di acquistare nuovi volumi, di continuare il lavoro di catalogazione, di mantenere gli attuali orari di apertura al pubblico. Si tratta di una delle innumerevoli situazioni più che problematiche in cui sono costretti gli istituti di cultura in Italia E, credo, superfluo sottolineare quanto sia stretto il rapporto tra civiltà di un popolo e produzione e fruizione della cultura, quanto la crescita dell'uno dipenda dall'altra È un nesso lapalissiano. Gli allarmi lanciati in questi ultimi anni (decenni?) sono stati molteplici, forse talvolta, come ha voluto evidenziare polemicamente Galli Della Loggia, con modalità un poco da questuanti. Ma il problema non può essere davvero più eluso. Per chi opera quotidianamente nelle università, nelle biblioteche, nelle fondazioni, negli archivi è facile verificare la drammaticità dello statu quo. Occorre capirsi bene su questo punto. Tagliare i fondi a istituti e fondazioni significa non solo eliminare le particolari iniziative di ricerca da questi promosse (il che è già cosa di non poco conto) ma significa rendere indisponibili documenti fondamentali per la storia del Paese. In molti istituti di cultura sono infatti depositati archivi di primaria rilevanza, di movimenti, associazioni, partiti e singole personalità che hanno segnato la storia d'Italia. L'indisponibilità di questi comporta necessariamente l'impossibilità stessa di una qualsivoglia ricostruzione storica. Stesso dicasi per le biblioteche e per le emeroteche, dove si depositano libri, riviste e documenti a stampa. Qual è la fotografia della realtà italiana in questo settore? Archivi in perenne stato di riordinamento (e dunque non consultabili) per grave carenza di personale - e ciò vale per le fondazioni private quanto per i luoghi istituzionali quale, ad esempio, l'Archivio Centrale dello Stato (dove vengono depositate, tra le altre cose, le carte dei vari Ministeri); Biblioteche specializzate che non hanno fondi per acquistare libri e riviste, rendendo di fatto impossibile allo studioso un confronto aggiornato con la produzione scientifica nazionale ed internazionale; Università che hanno completamente rinunciato ad essere riconoscibili luoghi non solamente di produzione ma di «relazione» scientifica, luoghi cioè per loro natura deputati al confronto, alla conoscenza, alla crescita nei settori di competenza. D'altra parte, le polemiche, le rimostranze, gli appelli concernenti i finanziamenti alla ricerca hanno riguardato e riguardano nella grandissima maggioranza dei casi la ricerca scientifica e tecnologica. Le discipline umanistiche sono relegate ai margini dell'estrema periferia, come se nulla o poco avessero a che fare con la realtà contemporanea E’ un orientamento generale, che però in Italia ha una sua fisionomia peculiare che ne aggrava, per ragioni storiche, la patologia E allora diviene sempre più necessaria una richiesta di chiarezza. Le nostre classi dirigenti hanno l'obbligo di spiegare all'opinione pubblica e ai cittadini che cosa intendono fare di quei luoghi deputati alla produzione e alla fruizione della cultura umanistica. Quali le reali possibili prospettive. Quali le eventuali strategie e finalità. Con responsabilità, con senno ed onestà. E’ un loro ineludibile dovere.
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