Così si cancella la nostra identità, colloquio con Salvatore Settis Daniela Minerva Espresso 14/10/2010
Blocco del turn over. Sovrintendenze senza vertici. E un taglio del 5 per cento al fondo ordinario. Così le opere d'arte, i monumenti, i siti archeologici che sono l'anima stessa dell'Italia sono abbandonati al degrado da un governo pop, tutto televisione e décolleté. Con quali conseguenze? Lo abbiamo chiesto a Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, uno dei più autorevoli antichisti del mondo. Professor Settis, cosa succede a un paese che dismette il suo patrimonio culturale? «La situazione è gravissima. Basti pensare che le due istituzioni più grandi del Paese che gestiscono le aree archeologiche più importanti del mondo, quella di Roma e quella di Pompei, sono senza un sovrintendente. Non si fanno i concorsi e man mano che le persone vanno in pensione si creano dei vuoti che si traducono nell'impossibilità di mantenere un patrimonio così vasto e capillare come il nostro. Non solo: questa idea di poter sostituire i sovrintendenti con soluzioni temporanee, anche nominando un prefetto in pensione come è accaduto all'area vesuviana, è grottesca. Per tener dietro a Pompei ci vuole un archeologo non un prefetto”. Lei sembra suggerire che più che di denaro sia una questione di sine cura del governo. «Le sovrintendenze dei beni culturali e archeologici funzionano benissimo da oltre un secolo. Tutto il mondo ce le invidia. Ma oggi sembra che le si voglia chiudere. Perché, si dice, si deve risparmiare. E da qualche tempo, se si deve risparmiare è sulla cultura che si decide di farlo, giacché la si considera un optional. Quando, invece, non lo è neppure se si vuole soltanto mettere l'accento sull'economia”. I beni culturali come drive per l'economia? «Il premio Nobel Amarthya Sen e diversi economisti hanno ormai dimostrato che la produttività di un Paese si promuove rafforzandone l'identità civica. Che noi abbiamo solidissima proprio grazie alla nostra identità culturale: un senese come un leccese o qualunque cittadino di questo Paese è fiero di essere tale anche per l'enorme e straordinario patrimonio culturale che lo circonda e di cui è parte. Se perdiamo i nostri beni perdiamo la nostra identità”. Il governo non sembra esserne consapevole. «Ma nemmeno l'opposizione. Sono colpito dalla totale assenza di dibattito pubblico su questa emergenza. I partiti, di tutti i fronti, hanno completamente marginalizzato la cultura. Mentre è solo creando una maggiore consapevolezza nell'opinione pubblica che si può intervenire. Unitamente, è ovvio, al fatto che si mettano a disposizione dei fondi per ripristinare organici e mezzi delle sovrintendenze”. Non pensa che anche dentro le sovrintendenze possano esserci stati degli sprechi? «Non lo escludo. Ma bisogna dimostrarlo e bisogna razionalizzare le spese in baso a ciò che si è scoperto. Altrimenti, con la scusa degli sprechi, mai dimostrati e analizzati, si sfascia tutto”. A molti sembra che, nell'attuale contingenza economica, si debba fare ricorso ai finanziamenti privati. «Che già ci sono, e grazie ai quali stiamo restaurando molte opere d'arte, ad esempio. Ma il patrimonio è e deve restare pubblico. E allora: perché un privato dovrebbe erogare ingenti fondi se poi non lo si fa entrare nella gestione del patrimonio? In altri Paesi fondazioni e imprese finanziano il patrimonio culturale perché ne hanno benefici fiscali. E questo è un buon modo di procedere. Ma ogniqualvolta ci si è provato, in Italia, il ministero del Tesoro ha posto il veto perché, si è detto: non è sostenibile fiscalmente. Ma proviamo a pensare se non ci fossero 120 miliardi di evasione. Se tutti pagassero le tasse, allora resterebbero i soldi per tutto”.
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