TOSCANA - «Si è lasciato campo libero alla speculazione» Il professor Pazzagli: previsioni sbagliate che non rispondevano a bisogni veri MERCOLEDÌ, 13 OTTOBRE 2010 IL TIRRENO - - Toscana
«L’edilizia privilegia la rendita, non gli interessi collettivi» A.V. CHIOMA. «Mi sembra una vicenda davvero paradossale». Rossano Pazzagli (nella foto), docente all’Università del Molise ed ex sindaco di Suvereto, studioso di storia del territorio, commenta con un certo imbarazzo la vicenda di Chioma. «Mi pare il classico esempio italiano: quando si tratta di edilizia, nessuno è mai in condizione di rivedere le previsioni dei piani». Le concessioni sono inesorabili come il tempo: partono e non le ferma più nessuno, si trasformano in diritti acquisiti benché privilegino gli interessi individuali rispetto a quelli collettivi. Previsioni sbagliate, fatte in epoche di espansione demografica ed economica, che oggi si scontrano con la rinnovata sensibilità ambientale e paesaggistica, incorreggibili nei loro effetti, che di fatto hanno prodotto alla Toscana qualcosa come due milioni di case rispetto a un milione e mezzo di famiglie residenti. «Non c’è un bisogno residenziale - aggiunge Pazzagli - ma solo una pressione speculativa. Sulla costa, in particolare, non si è riusciti a gestire la crisi della grande industria e si è lasciato campo libero al mattone». Ogni metro cubo di cemento rappresenta una trasformazione irreversibile, che cambia i connotati di un territorio molto diverso un secolo fa: «Prendiamo Follonica - argomenta Pazzagli -. Lungo la spiaggia c’erano le baracche di legno, che ogni tanto il mare si portava via. Ci hanno costruito le villette, che restano lì, per sempre. Se esaminiamo la domanda turistica, vediamo che le zone costruite sono quelle meno appetibili. Prendiamo Baratti e San Vincenzo, ad esempio: non c’è paragone». E allora, se l’edilizia non soddisfa la domanda demografica, se non porta a valorizzare il turismo, a chi serve? «Ai costruttori - risponde senza esitazione il docente -. L’edilizia privilegia la rendita, non gli interessi collettivi». I partiti, attraverso cui si amministrano i Comuni, hanno perso rappresentatività «e si sono aperti alle lobby - osserva -. Il senso di pianificazione pubblica del territorio è scaduto, la percezione degli interessi collettivi si è attenuata. Viceversa hanno preso quota quelli degli oligarchi». E allora? Allora basta non ripetere più gli sbagli del passato: «Gli effetti delle scelte si vedono dopo 10-15 anni. Allargare il confronto in fase di discussione dei piani servirebbe a evitare gli errori. La strada da percorrere è fatta di confronto e partecipazione».
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