NAPOLI - E se a Napoli Est costruissero grattacieli? di Diego Lama CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 26 ott 2010 Salerno
Spunti per l’area Est di Napoli al convegno su Mies van der Rohe
Che fine hanno fatto i grattacieli? Perché non si parla più di edifici alti, anche a Napoli, anche per l’area Est che sembra interessare tanto gli imprenditori partenopei? Perché, in un territorio sempre più saturo, non tornare a riflettere sulla possibilità di costruire edifici che consumano il suolo in modo diverso?
Le risposte sono tante, quella ripetuta per anni da urbanisti e sociologi è che i grattacieli si sono dimostrati spesso dei fallimenti, delle prigioni, dove le famiglie non vogliono vivere preferendo abitare ai piani bassi, più sicuri e, forse, più confortevoli. Per discutere di grattacieli e di case alte con gli architetti si potrà visitare la mostra «Mies van der Rohe e il Lafayette Park, Detroit» (prodotta dal Politecnico di Milano e organizzata da Vincenzo Corvino e Sergio Stenti), a Palazzo Reale di Napoli nella Sala Dorica da oggi fino al 12 novembre. La mostra è inaugurata da un convegno dedicato al quartiere realizzato a Detroit da Mies al quale parteciperà un folto gruppo di intellettuali ed esperti della materia: Stefano Gizzi, Claudio Claudi De Saint Mihiel, Gennaro Polichetti, Benedetto Gravagnuolo, Antonio Monistiroli, Salvatore Bisogni, Francesco Venezia, Kevin Harrington e Adalberto Del Bo. Il lavoro del grande e rigoroso architetto tedesco offrirà molti spunti di discussione, come quello anticipato al «Corriere» da Stefano Gizzi che si interroga sul rifacimento ex-novo dei manufatti architettonici. «Il padiglione progettato a Barcellona per l’esposizione universale del 1929», dice Gizzi, «è stato ricostruito com’era e dov’era tra il 1983 e il 1989. È stata una soluzione giusta? Si tratta di un restauro o di una fredda copia? È utile didatticamente o tale scelta è stata operata solo per il pubblico, a scopo turistico? La domanda è sempre attuale, e si lega a quanto effettuato, per esempio, per il rifacimento ex novo delle cosiddette case dei maestri a Deassau, distrutte dal conflitto mondiale ma ricostruite à l’identique, o per la nuova edificazione totalmente fuori contesto— a Barcellona e non più a Parigi— del padiglione spagnolo progettato da Josep Lluís Sert e da Louis Lacasa per l’esposizione internazionale di Parigi del 1937. Allo stesso modo, molte discussioni ha prodotto il restauro, di alcuni anni fa, del quartiere Weissenhof a Stoccarda, coordinato proprio da Mies; le opere di ripristino, infatti, hanno introdotto vari cambiamenti anche interni. Queste problematiche ci riportano anche al nostro contesto, quello napoletano: fino a che punto è stato corretto eseguire una copia (peraltro nemmeno identica) della stazione della funicolare di Chiaia? Si può parlare di restauro, o si tratta di un falso storico? E ciò vale anche per altri nostri monumenti napoletani rifatti in falso-liberty?»
Ma la lezione di Mies van der Rohe per il Lafayette Park è sostanzialmente di natura urbanistica, come ci spiega Sergio Stenti, docente della facoltà di architettura di Napoli. «Il Lafayette Park è un grande quartiere edificato intorno a un parco residenziale pedonale con poche attrezzature pubbliche e un adeguato centro commerciale dove viene espressa l’idea moderna dell’abitare nel verde che ha attraversato tutto il Novecento e che qui ha trovato una eccezionale soluzione: case alte per coppie più o meno giovani, case basse per famiglie numerose, case a schiera per la tradizionale famiglia americana; niente palazzine dunque, ma uno studio del paesaggio e un senso di comunità inaspettato». Il convegno di oggi servirà proprio a trovare le risposte ad alcuni dei quesiti posti in partenza. Potremo capire se la cultura dell’abitare è cambiata dal momento che la struttura sociale della nostra società non è più paragonabile a quella di 40 anni fa: oggi le famiglie sono composte da una o due persone le quali abitano la casa in tempi e modi diversi rispetto alla famiglia degli anni ’70, quando il modello del grattacielo andò in crisi. Viceversa la struttura territoriale si è modificata in senso opposto, verso la saturazione totale dello spazio, tanto da non permetterci il consumo di altre superfici. «Ma non è certo una forma d’insediamento immediatamente applicabile alle nostre città del sud abituate alla strada come luogo di relazioni», sostiene Stenti, «ma, superata un po’ di retorica sulla città meridionale, non potrebbe essere arricchita la nostra esperienza accogliendo ciò che vi è di veramente innovativo? Perché non sperimentare l’abitazione negli edifici alti? La richiesta è alta, giovani coppie e single costretti ad emigrare sarebbero contente di affittare appartamenti di 60 mq anche senza logge pur di abitare nella loro città, per esempio a Ponticelli?» L’idea per l’area Est di Napoli sarebbe allettante: edifici alti isolati, case basse riunite a formare unità abitative, verde poco attrezzato e pedonale adiacente alle case tutte raggiungibili con l’auto ma anche direttamente aperte sul verde per costituire i perni di un quartiere moderno capace addirittura di creare paesaggio. «Quattro convergenze», conclude Sergio Stenti, «sono indispensabili per una così alta qualità: un giovane imprenditore intraprendente, un sensibile paesaggista, un ricercatore urbanista e un architetto di qualità che bada alla forma senza essere formalista». Convergenze divergenti in Campania oggi.
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