Mibac, un logo in (s)vendita Tomaso Montanari Corriere del Mezzogiorno – Napoli 29/10/2010
Il tricolore bruciato a Terzigno ci rammenta che la percezione della presenza dello Stato sul territorio è anche mediata dai simboli. Così, quando uno vede il «logo» del ministero per i Beni Culturali sul cartellone di una qualunque iniziativa, è portato a pensare che il ministero l'abbia promossa, o almeno l'abbia vagliata e approvata. Anche il cittadino più avvertito percepisce, insomma, quel marchio come una sorta di certificato di garanzia culturale. Ogni giorno, tuttavia, questa fiducia viene provata dal censimento degli innumerevoli abomini «culturali» che si fregiano del simbolo MiBac: com'è possibile? Il paragrafo «licensing» (!) del Piano di Comunicazione 2010 del ministero fornisce una (incredibile) risposta. Dopo aver preso atto che «il marchio e il logo MiBac, registrati e tutelati vengono frequentemente impiegati ... anche nella promozione e nel patrocinio di eventi, manifestazioni e progetti ideati e organizzati da altre istituzioni, associazioni società private», si stabilisce che «la cessione del marchio MiBac ... necessita ... di una regolamentazione precisa che ne definisca modi e termini». Fin qui non si può che assentire, pur stupendosi che tutto ciò non sia ancora stato fatto. Ma sono le righe immediatamente successive che fanno saltare sulla sedia: «per far sì che il ministero possa cedere il proprio marchio e logo ad un altro soggetto dietro pagamento di un compenso, unico o percentuale». E l'unico commento possibile, per quanto usurato, sta nel VI canto del Purgatorio di Dante: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello».
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