Svendita dell’identità nazionale Marcella Marongiu Milleottocentosessantanove (Boll. Società per la Biblioteca Sesto Fiorentino, 29, 2002, pp. 30-31
recensione a: Salvatore Settis, Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, Einaudi, Torino 2002, 149 pagine, € 8,80
Relegata com’era alle pagine o agli inserti culturali dei quotidiani – notoriamente trascurati dal grande pubblico - e ignorata dalla ben più seguita informazione televisiva, sarebbe forse rimasta lettera morta, o argomento di discussione riservato agli specialisti, la preoccupazione seguita alla promulgazione del «decreto Tremonti», poi convertito in legge il 15 giugno 2002, che trasferiva alla «Patrimonio dello Stato S.p.A.» il patrimonio culturale italiano, se, tra le altre voci di protesta levatesi dall’Italia e dall’estero, Salvatore Settis (storico dell’arte classica, docente e direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa), prima con articoli pubblicati su vari quotidiani e riviste, poi dalle pagine di un agile libretto, non avesse prestato l’autorevolezza del suo nome al dibattito che ne è derivato. In un dettato chiaro e diretto, che esprime ad un tempo la passione civile che lo anima e la precisione della sua analisi, Settis non indulge alla polemica di parte politica ma indaga le ragioni storiche e culturali che hanno dato vita al «modello Italia» che la nuova legge – risultato dei passi compiuti sia dai governi di destra sia da quelli di sinistra degli ultimi anni - si propone di annullare. Il «modello Italia» si distingue dalla legislazione degli altri Paesi in materia di Beni culturali perché prima e più compiutamente di ogni altro sistema ha sancito l’inscindibile legame tra le opere d’arte e il contesto – geografico, storico e culturale – che le ha prodotte. Il patrimonio artistico italiano cioè, in misura sensibilmente maggiore che in ogni altro Paese al mondo, “non è solo la somma dei suoi monumenti, musei, bellezze naturali; ma anche e soprattutto il loro comporsi in un tutto unico, il cui legante non saprei chiamare meglio che «tradizione nazionale» o «identità nazionale», e cioè la consapevolezza del proprio patrimonio, e della sua unità e unicità, della necessità di conservarlo in situ.” Esso ha radici lontane, che affondano nella storia degli Stati dell’Italia preunitaria; lo Stato unitario si fece garante di questa tradizione istituzionale, e con la legge 1089 del 1939 (che ancora adesso può essere considerata la più avanzata al mondo in materia di beni culturali) sancì il legame dell’opera d’arte con il territorio e il rifiuto del principio delle “emergenze”, nonché il dovere dello Stato di tutelare il patrimonio culturale nella sua interezza, di promuoverne la conoscenza e renderlo inalienabile. Nella Costituzione repubblicana (art. 9), “la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. In anni recenti, tuttavia, hanno preso piede convinzioni tanto infondate quanto deleterie: si è detto con sempre maggior forza, da parte delle Istituzioni che avrebbero dovuto adoperarsi per il miglior funzionamento degli organi dello Stato, che i beni culturali, grande fonte di ricchezza potenziale per l’Italia, dovevano essere affidati alla gestione dei privati, mantenendo allo Stato la funzione di tutela. Tale monetizzazione del patrimonio ha avuto come conseguenza, passo dopo passo, la cessione ai privati, prima dei servizi aggiuntivi, poi di quelli essenziali, infine, dal 15 giugno, dei beni stessi. Quella che Settis porta avanti, dunque, è “una battaglia di civiltà”, a difesa di quei valori che costituiscono il fondamento essenziale della nostra identità: “È questo che stiamo svendendo senza accorgercene, e non i quadri e i monumenti (che fatalmente seguiranno): un’antica e radicata cultura istituzionale, il senso di un’esperienza fondatrice dell’identità italiana e della Costituzione repubblicana, l’orgoglio condiviso di un’appartenenza, dell’essere cittadini di questo Paese.”
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