L’AQUILA - Settis visita L'Aquila «Istituzioni assenti così l'arte muore» MICHELA CORRIDORE IL CENTRO - 15 marzo 2012
La città è abbandonata sembra quasi che si sia rinunciato a ricostruirla. In Italia c'è la cultura dell'emergenza perpetua. Lo sguardo basso sui sampietrini delle vie distrutte dal terremoto si alza solo di tanto in tanto per scrutare, quasi di nascosto, le ferite della città colpita nel cuore il 6 aprile 2009. Sono passati tre anni. E incredulo, perplesso, arrabbiato Salvatore Settis, mentre in un pomeriggio freddo, nonostante il sole che batte sulle facciate dei palazzi, passeggia per le strade aquilane. «Questo è il simbolo del fatto che in Italia le istituzioni non funzionano», dice davanti a Santa Maria Paganica, l'ennesima chiesa che scopre chiusa, inagibile, senza neanche una ruspa davanti. Con lui c'è Luciano Marchetti, commissario alla ricostruzione dei beni culturali. L'archeologo e storico dell'arte italiano, autore di numerosi saggi sul patrimonio artistico in abbandono e del libro-denuncia "Paesaggio Costituzione Cemento", fino al 2010 direttore della scuola Normale superiore di Pisa e in lizza per diventare ministro della cultura del Governo Monti, ha iniziato il tour fra le macerie dall'ex convento di San Domenico. Alle 17 lo attendono alla sala convegni Strinella 88 per parlare proprio su "Paesaggio costituzione e cemento. L'Aquila città simbolo della battaglia per l'ambiente e contro il degrado del patrimonio culturale". Nel cortile interno dell'ex convento Salvatore Settis ha accarezzato una colonnina di pietra e poi ha buttato lo sguardo tutt'intorno sui finestroni che scoprono le montagne e la città. Avanti verso piazza San Pietro, Santa Maria Paganica, piazza Palazzo e il Duomo. Un percorso di quasi due ore durante il quale riflette non solo sullo stato dell'arte della ricostruzione all'Aquila, ma anche su tutto il sistema culturale italiano. Professor Settis, che impressione le fa vedere la città del post-sisma? «E la prima volta che vengo all'Aquila dopo il terremoto. Vedo che qui si muove poco o nulla. Quella notte ero a Verona, ma ho sentito molto forte il sisma. La città è abbandonata, sembra quasi che si sia rinunciato a ricostruirla. Si è dato per scontato che gli aquilani avrebbero lasciato per sempre il centro storico per andare a vivere nei nuovi piccoli agglomerati che si sono creati dopo il terremoto, devastando il paesaggio. C'è la cultura dell'emergenza perpetua, come in tutta Italia. E lo Stato che non funziona e ha rinunciato a fare il proprio dovere». Perché a suo avviso la ricostruzione del centro ancora non è partita? «La politica di blocco delle assunzioni a livello nazionale sta dando i suoi frutti (dice con ironia, ndr). E questi sono i risultati. La ragione per cui le strutture non gestiscono lo straordinario è che non hanno personale neanche per l'ordinario. Non è possibile assumere i giovani e gli anziani non sanno a chi tramandare le proprie conoscenze. Le soprintendenze sono allo stremo. A Pompei nel 2001 è andato in pensione l'ultimo mosaicista, poi ci si chiede il perché i mosaici della città romana vanno in malora. Il passaggio da una cultura della manutenzione alla cultura del nulla sta uccidendo il patrimonio italiano». Cosa è possibile fare contro questo immobilismo? «Per far ripartire la ricostruzione all'Aquila bisognerebbe dare degli incentivi ai privati per accelerare la rinascita del centro. Certo sono necessarie risorse pubbliche. L'incapacità di gestire l'emergenza è l'altra faccia della medaglia del problema». La nuova L'Aquila: come e dov'era o con un altro volto? «L'Aquila è attualmente tra le realtà più delicate e interessanti. Bisogna fare il massimo per conservare il più possibile, poi si deciderà se bisogna innovare qualcosa. Ma è importante avere un piano ben chiaro prima di operare. La città è inscindibile dal rapporto con il paesaggio circostante. Questo equilibrio è stato sconvolto dalle ultime generazioni: gli italiani in passato hanno insegnato al mondo come si realizza una città, ora stanno insegnando come si distrugge». Cosa pensa delle costruzioni antisismiche nate dopo il terremoto? «Le "new town" sono state una necessità, ma mentre alcune (come quella di Onna) sono temporanee a tutti gli *** effetti, altre hanno tutta l'aria di essere luoghi destinati a durare. La cosa che stupisce è che con queste abitazioni si sono mortificati non solo il paesaggio circostante, ma anche la socialità: non esistono luoghi di ritrovo in questi nuovi agglomerati. Questo è alienante e preoccupante». L'Aquila chiama Italia. «L'Aquila è una questione nazionale, non solo per i suoi significativi monumenti, ma perché è il simbolo dell'Italia che non funziona. Da osservatore esterno posso dire che non avrei mai immaginato una situazione del genere». II tempo di una breve visita al Duomo, ancora sventrato: «Fa impressione vederlo ancora così». Michela Corridore |