TERREMOTO - Il nostro territorio ferito SERGIO RIZZO Corriere della Sera, mercoledì 30 maggio 2012
Non avevamo certo bisogno di una nuova devastante scossa di terremoto per capire quanto l'Italia fosse fragile e malandata. Gli avvertimenti che la natura ci manda sono sempre più frequenti e dolorosi. Anche se quasi mai, purtroppo, ne facciamo tesoro. Ma questo è diverso da tutti gli altri. Non è soltanto la catastrofe delle bellissime chiese duecentesche crollate o delle rocche medievali sbriciolate, né dei centri storici feriti a morte. E il terremoto dei capannoni. Sono venuti giù ovunque, accartocciandosi su esili pilastri di cemento armato o aprendosi come giganteschi scatoloni. Tanto da spingere qualcuno a parlare di «caduti sul lavoro», più che di vittime del sisma. Nello sconsiderato sfruttamento del territorio, che ci è valso il poco edificante primato europeo del consumo del suolo, con il 7,3% di superficie ormai non più naturale a fronte di una media continentale del 4,3%, responsabilità non secondarie hanno proprio i manufatti industriali. Da quindici anni a questa parte si sono moltiplicati come i funghi, talvolta soltanto per ragioni speculative. Le aree industriali a ridosso delle città e dei paesi coprono ormai superfici ben più estese degli abitati. Nella provincia di Treviso ne esistono 1.077, in media 14 per ogni comune. A Crocetta del Montello sono addirittura 28, un'area industriale ogni 204 residenti. Secondo i dati contenuti in un rapporto di Legambiente, nel 2010 c'erano in Italia 655 mila capannoni, dei quali 400 mila al Nord. Circa 130 mila in Lombardia, 85 mila in Veneto e 78 mila in Emilia Romagna: terza regione italiana in questa classifica, ma prima, fra queste tre, per tasso di crescita del costruito negli ultimi dieci anni. L'Istat sostiene che nel nostro Paese le superfici artificiali si sono ampliate fra il 2001 e il 2011 dell'8,8%, raggiungendo un'estensione non molto inferiore a quella dell'intera Toscana. Quelle della Lombardia e del Veneto sono aumentate rispettivamente dell'8 e del 7,3 per cento, contro quasi il 10% dell'Emilia Romagna. Le sole province di Ferrara e Modena, dice una ricerca ancora inedita targata Ance-Cresme, contengono il 25% dello stock edilizio regionale. Compresi 9.830 manufatti industriali. La febbre dei capannoni, moltissimi dei quali oggi anche triste - mente vuoti, ha inferto un duro colpo soprattutto alla pianura padana, sottraendo all'agricoltura migliaia di ettari e stravolgendo il paesaggio. Evidentemente, ciò che adesso fa venire i brividi, senza nemmeno troppe precauzioni costruttive. Soltanto dal 2004 la pianura padana è classificata zona a rischio sismico medio basso, ma fino a quel momento era conside - rata una delle rare parti d'Italia assolutamente sicure, tanto da figurare nelle mappe del Cnen l'area ideale (densità abitativa a parte) per le centrali nucleari. Mirando - la, uno dei centri ieri più colpiti, dista appena 27 chilometri dall'ex impianto atomico di Caorso. Adesso il terremoto emiliano ci fa scoprire ancora più deboli, consegnandoci una situazione brutalmente diversa. Il territorio è prezioso. Ne abbiamo poco e per giunta complicato: siamo costretti a usarlo con intelligenza e parsimonia. Va alzato di gran lunga il livello di guardia e non soltanto in quelle zone del Nord che ora sappiamo fortemente sismiche. Milioni di italiani sono esposti a rischi inimmaginabili per la violenza con la quale pezzi interi del nostro Paese sono stati aggrediti. Vengono in mente le periferie urbane dove si è costruito nei corsi d'acqua o sulle frane, come a Genova e Messina. Viene in mente l'area ve - suviana, con 700 mila persone abbarbicate fin sopra le pendici di un vulcano attivo qualificato dagli esperti come uno fra i più pericolosi d'Europa, in un delirio di piani regolatori insensati e abitazioni abusive. E arrivato il momento di dire basta a tutto questo. La difesa del suolo e del paesaggio deve diventare l'impegno più importante per rilanciare l'Italia. Lo dobbiamo ai nostri figli. |