FIRENZE - Un filosofo, i sassi e lo stagno Tomaso Montanari corriere di Firenze, 06 giugno 2012
Definire la ricerca della Battaglia di Anghiari «un sasso gettato nello stagno» è davvero geniale. Soprattutto se la metafora scelta dal nuovo assessore alla cultura Sergio Givone si scioglie in quella che ne descrive l’immancabile esito: «un buco nell’acqua».
La trivellazione del Vasari e la ricerca del petrolio leonardesco sono state una bandiera della politica culturale renziana: tanto da convincere il sindaco a tenere per qualche tempo l’interim della cultura (a proposito, con quali risultati?). Tutto indica, però, che quella bandiera sta per essere ammainata.
L’Opificio non ha potuto effettuare le famose ‘controanalisi’ perché non ha mai ricevuto il materiale ‘residuale’ prelevato dietro l’affresco vasariano (né, d’altra parte, un serio ente di ricerca potrebbe avvalorare campioni la cui provenienza non sia in grado di certificare direttamente).
Maurizio Seracini, convocato da oltre due mesi e per ben tre volte, continua (assai poco garbatamente) a non presentarsi all’audizione chiestagli dalla Commissione cultura del Comune.
Ma nel frattempo rilascia interviste dicendo che, se non arriva presto un via libera ministeriale, i costi rischiano di diventare insostenibili (ma l’operazione non era anche un fulgido modello di fund raising? E i monumentali utili pubblicitari ricavati dal National Geographic attraverso un documentario a dir poco imbarazzante?).
Matteo Renzi, da parte sua, prova a consegnare il cerino al ministro Lorenzo Ornaghi: il quale, tuttavia, non potrà che ribadirgli che la legge affida la decisione sulla prosecuzione delle ricerche non all’autorità politica, ma agli organi tecnici (soprintendenza, comitato tecnico-scientifico, Opificio etc).
Insomma, tra non molto sarà ben chiaro che la distrazione di massa della ricerca di Anghiari non è stata «un sasso nello stagno», ma una carrettata di melma gettata nello stagno di una Firenze ossessionata dalla messa a reddito dei suoi Leonardi e Michelangeli.
Contro questa operazione di marketing mediatico si sono espressi tutti i protagonisti veri della cultura storico-artistica che vede in Firenze una delle sue capitali: proprio quelle forze che Givone dice, giustamente, di voler svegliare e far emergere.
E credo che il filosofo sappia benissimo che il compito di un assessore alla cultura non sia tirare sassi, ma costruire pazientemente i fili di connessione che permettano a questa città di tornare a produrre – e non solo a consumare – cultura.
La nomina di Givone sembra, in effetti, aver rottamato molti ingredienti del renzismo ‘prima maniera’: il giovanilismo, il sospetto verso le competenze ‘accademiche’, l’idea del cerchio magico. C’è dunque da sperare che il lavacro estivo si porti via per sempre anche questa incresciosa storiella strapaesana del Leonardo nascosto, e che – anche grazie a Givone – la politica culturale del Comune di Firenze torni ad essere quel che deve essere: formazione di cittadini, non intrattenimento di clienti.
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