Trieste. Assenteisti in Soprintendenza. Si muove anche la Corte dei conti Corrado Barbacini Il Piccolo - Trieste 25/9/2012
Il procuratore Maurizio Zappatori ha aperto un fascicolo su 40 dipendenti di Palazzo Economo per verificare se vi siano gli estremi per l'accusa di danno erariale e d'immagine verso lo Stato
Statali assenteisti: entra in ballo anche la Corte dei conti. Il procuratore Maurizio Zappatori ha aperto un fascicolo relativo alle responsabilità contabili dei quaranta dipendenti della Soprintendenza finiti sotto indagine da parte dei militari della Tributaria per le uscite ritenute eccessivamente prolungate da palazzo Economo e dalla sede di viale Miramare. L'inchiesta del procuratore Zappatori è parallela a quella avviata dal pm Massimo De Bortoli. Già nei giorni scorsi lo stesso De Bortoli ha trasmesso alla Procura contabile i primi atti dell'inchiesta che ha scoperchiato quella che è stata definita una situazione di malcostume diffuso. A inchiodare i 40 indagati è stato il risultato di cento giorni di pedinamenti e filmati girati dalla Guardia di Finanza che per ciascun dipendente di Palazzo Economo ha registrato uscite e reingresssi (spesso con le borse della spesa, a volte al termine di semplici passeggiate) in orario di lavoro. Il pm contabile esaminerà tra le altre la posizione di Elvi Bossi, già segretaria del soprintendente, che in una settantina di giorni, domeniche e festivi compresi, ha "bigiato" per 118 ore. Ma anche quelle degli architetti dirigenti Alvaro Colonna e Marino Sain e della storica dell'arte Maria Chiara Cadore. E poi di Alessandro Bruni, assistente amministrativo; e di Francesco Tuppo. pure assistente amministrativo; e della restauratrice Luisa Zubelli. In linea teorica le accuse ipotizzate da Zappatori a carico dei 40 dipendenti della Soprintendenza sono di danno erariale e di immagine, in riferimento evidentemente al costo patito dallo Stato a causa delle assenze facili. In pratica le ore "libere" sono state regolarmente retribuite ai dipendenti che potrebbero, una volta condannati dai giudici penali, trovarsi appunto nella scomoda posizione di dover restituire il denaro al quale non avevano il diritto. Cifre consistenti che tengono conto anche del rateo della tredicesima, del Tfr e delle ferie maturate. Praticamente si tratta del calcolo matematico del costo lordo per ora, al quale poi vanno aggiunti gli interessi. L'altra contestazione della Corte dei conti potrebbe essere quella di danno d'immagine nei confronti della pubblica amministrazione, inteso come grave perdita di prestigio a seguito del detrimento per l'appunto dell'immagine e della personalità dello Stato o di un altro ente pubblico, come la Soprintendenza, in conseguenza a un'azione delittuosa di un suo amministratore o di dipendente. E questo danno, se accertato, viene valutato sulla base di particolari parametri che tengono conto sia dell'incarico dell'«indagato» all'interno dell'Amministrazione che della reazione dell'opinione pubblica di fronte alla notizia. Dal punto di vista penale la condanna che - sempre in linea teorica - rischiano gli impiegati e i funzionari della Soprintendenza finiti sotto inchiesta non è cosa da poco. In base a una prima stima - inevitabilmente imprecisa visto che tutta la vicenda è appena agli inizi - non è affatto esagerato parlare del rischio di una condanna a tre o quattro anni, considerati i benefici di legge. Ma è evidente che ogni singola posizione, una volta in giudizio, andrà vagliata anche in considerazione dell'entità della truffa e del ruolo dell'imputato. Il reato di truffa aggravata contestato dal pm De Bortoli prevede una pena che va da un minimo di un anno a un massimo di cinque anni di reclusione. A questa si aggiunge la pena prevista dall'articolo 479 del Codice penale in relazione all'articolo 476 relativo alla falsità materiale dei pubblici funzionari nell'esercizio delle funzioni. In pratica la contestazione è quella di aver fatto in modo che gli orari di inizio e fine della prestazione lavorativa risultassero falsati in loro favore.
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