Sul Crocifisso ora al Bargello: una replica a G.B. Fidanza 18-04-2012 Giorgio Bonsanti
Vorrei comunicare qui al “popolo” di Patrimonio s.o.s. alcune brevi considerazioni che mi sembra poter svolgere a commento dell’articolo di Giovan Battista Fidanza, Überlegungen zu Michelangelo als Holzbildhauer, “Wiener Jb”. LIX, 2010, pp.49-64, che ho letto stamani nella tranquillità del Kunsthistorisches Institut di Firenze; messo sull’avviso dall’intervista con lo stesso studioso e amico uscita su Repubblica di Firenze lo scorso 8 aprile. Mi riferisco qui soltanto alla parte in cui Giovan Battista si esprime sul Crocifisso ligneo acquistato dallo Stato ed attualmente esposto al Bargello (pp.60-64); con l’avvertenza che non intendo qui in alcun modo discutere argomenti diversi dall’attribuzione. Il tutto perché io sono uno di coloro che ritiene ammissibile un’attribuzione a Michelangelo; e richiamo anche che una compagnia che mi veda insieme con Giancarlo Gentilini e il compianto Luciano Bellosi non è comunque disprezzabile. Giovan Battista, che come tutti sappiamo è un conoscitore di prim’ordine per quanto riguarda il materiale “legno”, osserva che Michelangelo non avrebbe fatto uso del pioppo anziché del tiglio (come nel Crocifisso di Santo Spirito e nel tardo Crocifisso intagliato di Casa Buonarroti pubblicato a suo tempo dal Tolnay, del quale ho redatto in un’occasione espositiva la scheda relativa), perché il pioppo, dai pori più larghi e irregolari, consente una minore finitezza nel dettaglio e richiede pertanto di intervenire perfezionando il modellato con lo strato di “preparazione” sottostante al colore (e qui c’è molta “Modelliermasse”). Inoltre: nonostante che le dimensioni ridotte non lo avrebbero richiesto, il Crocifisso è in due blocchi (ovviamente si parla sempre in questa tipologia escluse le braccia), come se fossero stati usati legni di risulta disponibili in una bottega di legnaiolo. Non c’è qui la simbiosi intaglio-colore come nell’esemplare di Santo Spirito; la ferita sul costato non è dipinta, ed è realizzata con un taglio grossolano di sgorbia. E, in generale, “weist eine kräftige, fast überbetonte Anatomie besonders der Beinmuskulatur auf, wobei die Beine eine eher geläufige Stellung einnehmen”. La conclusione di Giovan Battista, se ho letto bene, è per un buon prodotto seriale di fine Quattrocento. Per quanto riguarda il materiale, osservo però che nemmeno un esperto specialista è stato in grado di stabilire se il legno sia tiglio o pioppo, perché, se la densità corrisponde soprattutto al pioppo, la “Maserung”, cioè la venatura, risponde piuttosto al tiglio. Comunque a me non farebbe né caldo né freddo che Michelangelo avesse potuto utilizzare anche il pioppo per un’opera comunque eseguita quand’era ragazzo, con pochi mezzi e scarse disponibilità di accesso a materiali. A mio parere, un errore nella valutazione di chi vede positivamente l’attribuzione sta nella cronologia fissata al 1495, perché io vedo piuttosto qui un Michelangelo ragazzo o poco più, sul 1492-1493, ma senza escludere nemmeno una data anteriore, tenuto conto che risale al 1487-1488 il suo primo dipinto, la copia dalle Tentazioni di Sant’Antonio di Schongauer approdato recentemente al museo di Fort Worth per 6 milioni e mezzo di dollari (secondo quanto ho letto), dall’autografia negata da Hirst e Joannides, ma della quale io sono assolutamente convinto, così come uno studioso quale Keith Christiansen. La mia personale convinzione deriva dal non vedere nel Crocifisso del Bargello un prodotto seriale nella tradizione Da Maiano – Sangallo, e non capisco come si possa tirare in ballo Leonardo Del Tasso, il cui San Sebastiano in Sant’Ambrogio è di tutt’altra consistenza di stile. Teniamo conto, se davvero vogliamo pensare ad un prodotto eseguito comunque in una bottega, che è stato ripetutamente proposto un apprendistato nella scultura di Michelangelo all’interno della Bottega dei Da Maiano, e a Michelangelo viene appunto attribuito uno dei Putti dell’Annunciazione di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli. Quindi si potrebbe pensare ad un prodotto di Michelangelo in quelle circostanze e a quel tempo. E, più in generale, non sarò certo io a svalutare i dati materiali nella considerazione di un’opera d’arte, anche ai fini del’attribuzione; ma dico anche, con piena convinzione, che non si possono fare le attribuzioni quasi soltanto in base ad essi. Nel caso dei Crocifissi intagliati, le opere sicure di Michelangelo sono due, quello di Santo Spirito e quello della Casa Buonarroti, separati fra di loro da quasi settant’anni. Manca quindi la possibilità di istituire sensatamente dei confronti materiali con un maggior numero di esemplari; certo, se fosse sicuro che il Crocifisso del Bargello è in pioppo (il che non è) e avessimo quarantanove Crocifissi di Michelangelo tutti di tiglio, guarderemmo con sospetto uno in pioppo: ma così non è. Secondo me l’anatomia non è così possente come scrive Giovan Battista, a me sembra molto più dolce e sottile, prossima al Crocifisso di Santo Spirito. Inoltre, non condivido un’espressione come quella riportata nell’intervista che “Michelangelo mai avrebbe fatto ricorso ad accorgimenti del genere”: metodologicamente, mi guarderei bene dalla convinzione di sapere se Michelangelo avrebbe fatto o no ricorso a determinati accorgimenti: chi può dirlo? Ma si potrebbe continuare; sappiamo bene che questioni di questo genere difficilmente troveranno mai una parola”fine”. L’importante è ragionarne fra studiosi, senza lasciarsi fuorviare dagli inquinamenti introdotti da circostanze e situazioni estranee agli studi. Giorgio Bonsanti, già Università di Firenze
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