A proposito della visione olistica della cultura 16-03-2014 Pier Giovanni Guzzo
A PROPOSITO DELLA VISIONE OLISTICA DELLA TUTELA Della visione olistica della tutela risultano, a quanto sembra, due versioni: quella teorica e quella pratica. La prima, quella teorica, non mi sembra sia stata argomentata con l’agio e l’ampiezza che sarebbero desiderabili, quanto piuttosto propagandata con la brevità efficace degli slogan. E, soprattutto, declinata in quella che si ritiene essere la sua più diretta applicazione pratica: quella di essere applicata da un organo operativo all’interno del quale siano rappresentati tutti i saperi, tecnici e scientifici, relativi e necessari al fare tutela, in specie sotto un’angolazione territoriale e paesaggistica. La versione pratica, per sua natura, non si basa su trattati teoretici, ma sul bagaglio dell’esperienza, dal quale trae spunto per migliorarsi, correggendo gli inevitabili errori commessi. Sia dell’una sia dell’altra versione esistono sperimentazioni concrete. L’organo operativo all’interno del quale sono compresi tutti i saperi tecnici e scientifici relativi al fare tutela esiste, e non da ieri, nell’architettura istituzionale della Regione Sicilia. Sull’operato di questo si possono emettere giudizi diversificati: ma non sfugge che il tipo di tutela che vi è stato prodotto è ben lungi dall’essere olistico in senso proprio, cioè originato da un progetto coerente ed omogeneo posto a monte degli intereventi, quanto piuttosto risultante dalla somma, talvolta algebrica, degli interventi settoriali. E, in questo, non si dimentica che a rappresentare l’organo e guidarne destini ed operatività è un rappresentante di uno dei saperi compresi nell’organo stesso. Ciò comporta automaticamente il declassamento di valore di tutti gli altri saperi. Una situazione del genere discende direttamente dal sistema formativo che offrono le Università, nei loro successivi livelli di formazione. L’esperimento delle facoltà di Beni Culturali non ha formato quel tecnico, o quello scienziato, olistico che sarebbe stato necessario per un’applicazione pratica della teoria sulla tutela olistica. Il riconoscersi, e in alcuni casi l’addebitarsi, una tale defaillance non induce a porre fiducia in analoghi, futuri tentativi del genere e nelle conseguenti applicazioni. Ancora, della versione olistica, sia pure parziale, rappresenta applicazione in embrione il funzionamento delle Direzioni Regionali sulla penisola, in quanto organi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ora anche del Turismo. Oltre che per costituire unico riferimento statale alle attività concorrenti nell’ambito dei Beni Culturali svolte dalle Regioni, il Direttore Regionale coordina l’attività delle Soprintendenze territoriali di branca tramite due strumenti: quello finanziario e quello del personale. E, non meno essenziale, quello di stazione appaltante. Inoltre ha la competenza di emanare i decreti di notifica d’interesse, quelli che sono noti come vincoli, compresi quelli paesaggistici. In conseguenza di ciò, svolge un’attività di cornice e di armonizzazione delle attività di tutela istruite dalle Soprintendenze territoriali di branca. L’esperienza di funzionamento delle Direzioni Regionali non sembra essere stata sempre informata ad una visione olistica della tutela, nonostante nella norma sia compresa la chiara prefigurazione di una tendenza del genere, sia pure parziale. Il motivo di insoddisfazione consiste sia nell’impronta professionale specializzata che ha contraddistinto ognuno dei Direttori Regionali (per lo stesso motivo evidenziato a proposito delle Soprintendenze siciliane) sia la progressiva burocratizzazione che ne ha contraddistinto l’operato. Ho definito parziale la visione olistica delle Direzioni Regionali: in quanto, come indica l’aggettivo, la rispettiva competenza si esplica sul territorio di una sola regione. Ma, comunque, è sempre un ampliamento del raggio d’azione delle Soprintendenze siciliane, competenti su una sola provincia. Della versione pratica della tutela olistica l’applicazione è costituita dalle Soprintendenze statali dalla loro istituzione e fino al 1998, quando furono istituite le Soprintendenze Regionali divenute poi Direzioni Regionali. Delle attività di tutela realizzate molto si può dire, in bene e in male. Rimane fermo che se il patrimonio è ancora conservato e, in parte, reso fruibile è conseguenza delle attività di questi uffici. I quali, nel campo sia archeologico sia storico-artistico sia architettonico, hanno svolto attività di tutela a favore di ogni fase cronologica e culturale dell’attività umana, a prescindere dalle voghe della ricerca e dalle volubilità dei maîtres à penser. E di tali attività ampio è il riscontro bibliografico, anche se non sempre caratterizzato dalla desiderata completezza. Sono sotto gli occhi di tutti le mancanze, gli errori, le lacune delle Soprintendenze: ricercarne, volta per volta, le cause comporterebbe una troppo lunga trattazione. Che, tuttavia, in alcuni casi è stata compiuta. La visione teorica della tutela olistica si ferma a valutare i diversi aggettivi che distinguono fra loro le Soprintendenze, considerandole, in conseguenza di tale differente aggettivazione, organi settoriali. Quanti ragionano in tal modo sembra dimentichino che gli strumenti operativi finalizzati alla conoscenza ed alla tutela sono ben differenti fra loro se se applicano a Beni di natura differente. Lo scavo non farà mai parte del bagaglio tecnico di uno storico dell’arte, per esempio, se non nell’accezione figurata di “scavo in magazzino” o “scavo in archivio”. È ovvio che la intrinseca diversità strumentale ed operativa può, e deve, condurre ad un’omogenea visione dello sviluppo storico dell’intera attività culturale del passato, senza la quale la tutela sarebbe una mera applicazione di norme amministrative. Tale omogenea visione si ottiene attraverso la conoscenza e l’interpretazione del passato compiute dall’interprete contemporaneo, cioè lo storico. Conoscenza e, in specie, interpretazione, come si sa bene, periodicamente si modificano: quantitativamente, ma principalmente qualitativamente. In quanto la storia non è frutto che si trovi in natura, ma è opera solamente dell’intelletto umano. L’interpretazione storica si modifica nel tempo come si modificano le espressioni figurate, architettoniche, applicative della cultura. Attribuire il compito olistico dell’interpretazione storica della attività culturale del passato ad organi rivolti alla tutela appare un incongruo cambio di scala. Sarà molto più congruo allo scopo olistico che si persegue, e produttivo ai fini dell’avanzamento generale della cultura, separare operativamente le responsabilità. Agli organi di tutela quella di tutelare, salve le necessarie risorse; ad altri, da definire non necessariamente in esclusione ma anche con il concorso dei primi, quella di argomentare modelli e ricostruzioni ed interpretazioni olistici. Beninteso, sarà necessario che gli operatori della tutela siano informati ed aggiornati sull’avanzamento della ricerca e della relativa teoria: ma tale condizione rientra nel necessario, già invocato, adeguamento delle risorse a disposizione. Tanto più che ogni organo territoriale di tutela non avrà sotto la propria responsabilità che una definita porzione di territorio, e quindi dei Beni localizzati solamente in essa: con ciò minando alla base il concetto stesso di olismo che si vorrebbe attribuire a tali organi. Non occorre, inoltre, dimenticare, come sembra facciano i fautori delle visione olistica teorica della tutela, che quest’ultima si svolge e si attua all’interno, e a servizio, della società contemporanea: la quale, come tutte quelle che l’hanno preceduta fin dal 1875, quando fu istituita la Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, alla tutela preferisce di gran lunga la realizzazione dei propri progetti di trasformazione dell’attuale assetto del territorio. La legge 1089/39 prevedeva che la competenza di emanare le dichiarazioni di interesse, cioè i vincoli, fosse propria del Ministro. Il quale, di conseguenza, aveva a disposizione la possibilità concreta di avere l’intera visione, olistica quindi, dello stato e dello sviluppo della tutela a scala nazionale. Attualmente, come già anticipato, non è più prevista una competenza del genere, che è invece articolata, o spezzettata, per regioni. Dato, e non è negabile, che l’attività di tutela si svolge all’interno della società contemporanea, e a servizio della stessa, una concreta visione olistica della tutela non potrà non comprendere anche, se non forse in maniera preponderante, la società stessa, le sue tendenze, i suoi bisogni, le sue realtà. Di tutto ciò non potranno mai i tecnici, sia di Soprintendenza sia di Università, olistici o non olistici, essere rappresentanti, interpreti e realizzatori: ma solamente i rappresentanti della società stessa ai definiti livelli di rappresentanza e di esecutività. Starà, quindi, ai tecnici istruire al meglio i provvedimenti di tutela: ma ai rappresentanti della società renderli efficaci. PIER GIOVANNI GUZZO
|