Colloquio con Giuliano Volpe e Daniele Manacorda 22-03-2014 Pier Giovanni Guzzo
Caro Giulio, caro Daniele, grazie per aver voluto condividere le vostre considerazioni su quanto ho scritto a proposito della visione olistica della tutela. E grazie per aver ambedue ricordato lo sperimentato vincolo di amicizia e stima che, non da oggi, ci unisce (anche se un malevolo lettore potrebbe in ciò scorgere una contrapposizione tra me vecchio e voi giovani, e quindi tra un mio dire errato e un vostro dire, invece, giusto). Sul fatto che l’azione di tutela debba comprendere, in un congruo quadro paesistico e ambientale, tutti gli aspetti componenti la sedimentazione storica sul territorio, comprese le esigenze della società contemporanea, mi pare che siamo tutti e tre d’accordo. D’altronde, già più di dieci anni ne scrivevo nel mio “Natura e storia nel territorio e nel paesaggio”. In generale, induzione (procedere dal particolare al generale) e deduzione (procedere dal generale al particolare) sono modi logici ambedue approvati da Aristotele: quindi, non direi che privilegiare l’esperienza tolga campo all’elaborazione di modelli generali di comportamento. Bisogna solo mettersi d’accordo su che cosa venga prima, o su che cosa si preferisca venga prima. Ma, anche su questo, non mi sentirei di armare una guerra di religione. Qualche discrepanza si manifesta nell’identificazione di chi dovrebbe interpretare storicamente le manifestazioni così tutelate e conosciute del passato (anche non remoto, sono d’accordo con Daniele): ma non mi sembra il caso di cavillare, forse solo (per me) di scrivere con maggiore chiarezza. Lo stesso vale per quanto riguarda il modo pratico di fare tutela: la diversità procedurale corrisponde alla diversità ed alla conformazione materiali del bene che si ha di fronte, mentre non certo diversità si potrà avere nel metodo storico di conoscenza e di interpretazione. Se la diversità procedurale sia, oppure no, motivo sufficiente a distinguere tra loro gli uffici di tutela mi pare anche questa questione non conflittuale: con la differenza che voi, cari Giulio e Daniele, li vedete uniti sotto uno stesso ombrello, io, invece, sotto ombrelli separati. Comunque, uniti o separati, gli uffici di tutela non possono non fare cultura: se non altro accrescendo la conoscenza. Ma si è in grado di accrescere la conoscenza se non si è in grado di porsi domande? E chi se non l’interprete della storia sa porre le domande più congrue allo scopo? Esiste, però, un livello più alto di interpretazione del passato: nel quale non solamente le evidenze materiali e territoriali, anche se lette in maniera olistica, vengono esaminate, ma anche quelle di diversa natura, a cominciare da quelle letterarie in quanto specchio privilegiato delle mentalità antiche. Così è anche, a mio modo di vedere, per il rapporto tra tecnici e società: il tecnico che tutti noi tre abbiamo in mente, e abbiamo cercato nelle nostre diverse esperienze di incarnare, vive all’interno della società, esprime i propri pensieri in maniera franca, aiuta ad intendere ed indirizzare le esigenze, confronta possibili soluzioni, fra loro diverse ma tutte rivolte al bene comune. Ma, di mestiere, fa il tecnico: non è stato eletto, non ha responsabilità di decisioni politiche (se non all’interno del suo specifico campo d’azione). Sa che l’assolvere al meglio possibile, per le proprie forze e per lo stato dell’arte, i compiti, tecnici, a lui affidati è altrettanto politico che emanare una legge: solo che si tratta di livelli diversi fra loro. Noi abbiamo scelto, abbiamo imparato, ci siano addestrati come tecnici: potremmo, se volessimo, fare i politici, ma dovremmo cambiare la sostanza del nostro fare. Lasciatevelo dire da chi ha fatto anche l’esperienza di consigliere comunale. Mi pare che, nella sostanza, le divergenze fra noi non costituiscano nulla di più che spunti dialettici alternativi: quello che ci divide nettamente è l’esperienza fin qui da ognuno di noi compiuta e, se così posso dire, la rispettiva previsione del futuro (ragioniamo, quindi, in maniera induttiva). Non è l’ego conculcato che vorrebbe stornare il fato di avere sopra la testa un dirigente diversamente tecnico: è l’acquisita (da me) certezza sperimentale che la materia che pratichi viene sottovalutata (risparmio l’elencazione, ma sempre a disposizione). E, in parallelo, si constata come concentrando il potere in un numero minore di responsabili (attualmente, solo nei Direttori Regionali, oltre ai Soprintendenti Speciali; nei soli Soprintendenti provinciali in Sicilia) ben più agevoli sono le comunicazioni, e le pressioni, con chi, e da parte di chi, ha il concreto potere di decidere del tuo destino. Ad una situazione del genere, della quale hanno esperienza tutti i tecnici della tutela, trova parallelo (altrettanto negativo) la finora mancante figura professionale olistica, così come anche voi indicate, cari Giulio e Daniele. Non occorre mai dimenticare che una delle occasioni più favorevoli di guadagnare denaro consiste nella trasformazione del territorio: più numerosi sono quanti dovranno esprimere un proprio parere per autorizzare una trasformazione, tanto maggiore sarà la difesa della stratificazione culturale depositata. Sta in questa squallida, ma pesantissima e concreta, realtà che si radica nella maggioranza della popolazione l’avversione nei confronti della tutela, intrecciandosi dal piccolo abusivo all’evasore abituale, dall’assuefatto al condono al potente manager delle opere pubbliche contrario all’applicazione dell’archeologia preventiva: un vero campionario della società ben poco attenta alle definizioni teoriche e, di certo, fanatico sostenitore di Giovanni Valentini (e di quanti altri scrivano cose simili). Come il peso di interessi del genere, per lo più illeciti, non può non trovare compiacente acquiescenza nei superni decisori, dipendenti strettamente dal favore che riescono a coltivarsi presso gli elettori? Come questi non possono non vedere nei tecnici della tutela altrettanti ostacoli sia a pesanti interventi sul territorio sia a manifestazioni ludiche in luoghi d’interesse culturale senza la messa in opera delle necessarie precauzioni di tutela? Un ottimo modello teorico, per diventare concreta esperienza nella prassi quotidiana, deve superare la prova dell’efficienza e dell’efficacia: e, anche in Sicilia, non sempre, a quanto si apprende, tale prova è stata, ed è, superata a pieni voti. Viceversa, non può un buon modello teorico essere abbandonato perché, finora, non si è dimostrato tanto affidabile nella prassi quanto si poteva sperare, vista la sua solidità teorica. Forse, un rafforzamento della elaborazione teorica al riguardo, in specie sul versante della formazione non solo professionale ma anche etica del cittadino, potrà favorire, il prima possibile, l’applicazione efficiente e concreta di un tale modello. E un chiarimento, ad opera delle alte sedi istituzionali competenti, delle competenze a proposito dell’uso del territorio, della sua programmazione, del suo regime vincolistico: l’attuale intreccio tra Stato, Regioni, Comuni non aiuta e non lascia prevedere che qualcuna delle realtà interessate vorrà, prima o poi, abbandonare ad altri tali strumenti di potere, di controllo e di finanziamento (sia lecito sia illecito). Ora ed anche per il seguito, con il vostro permesso, pongo fine allo scrivere di questo argomento: Per quanto mi riguarda, quello che avevo da dire l’ho detto, ed è stata felice occasione di leggere quanto voi avete avuto agio di proporre. Mi auguro, tuttavia, di poter leggere ben presto quanto mi promette Giulio e che vedo appena annunciato, qui sulla panchina dei giardinetti, come si addice ad un vecchio pensionato, sotto il primo sole di primavera. PIER GIOVANNI GUZZO
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