Osservazioni del consigliere di Stato Giuseppe Severini sul documento della Presidenza del Consiglio circa la riforma dell'art. 115 del Codice 18-11-2005 Giuseppe Severini*
"Osservazioni al documento della Presidenza del Consiglio".
-- Modifiche del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio--
Non si condividono le critiche mosse in linea di principio all’art. 115, comma 3, lett. a) CBCP, vecchio o nuovo testo, per le seguenti ragioni:
1) E’ dato di comune esperienza che l’esercizio museale causa un risultato economico passivo, perché i costi (es. locazione, custodia, assicurazione, personale, ecc.) superano quasi sempre i ricavi (essenzialmente: vendite dei biglietti e congiunti servizi aggiuntivi o di merchandising). Il risultato opposto richiederebbe un prezzo del biglietto di livello talmente elevato da non corrispondere alla disponibilità della domanda, con conseguente fallimento dell’obiettivo dell’allargamento della fruizione.
2) Per conseguenza, l’analogia tra azienda e museo può riguardare solo alcune simiglianze d’ordine giuridico, ma non riesce a raggiungere i profili economici.
3) Pare pertanto non realistico immaginare l’”impresa culturale” e muovere dal presupposto, astratto, che attraverso l’esercizio museale sia conseguibile un utile finanziario (altra cosa è per i servizi aggiuntivi autonomamente intesi: senza cioè l’onere del museo; ma quello non è il tema). E infatti, quando non sono pubblici, i musei sono collaterali, per cura d’immagine o mecenatismo, ad imprese o a lasciti e in essi hanno le necessarie risorse finanziarie.
4) Nondimeno, la valorizzazione di un museo ha effetto generatore di economie esterne nel territorio circostante (es. esercizi alberghieri, ristorazione, esercizi commerciali, operatori turistici in genere, ecc.). In vista di questa irradiazione di utilità economiche (e di immagine del luogo) sorge l’interesse di soggetti terzi (portatori non di un interesse economico diretto, ma relativo al territorio circostante) a partecipare ad iniziative di gestione indiretta di beni culturali: es. fondazioni bancarie ed enti locali. Non si discosta, economicamente, da tale obiettivo il concorso di privati, singoli o associati, interessati alla propria promozione di immagine. Solo in questo senso promozionale e diffuso si può realisticamente parlare di utilità economica della valorizzazione museale.
5) L’economicità dell’esercizio museale va pertanto contestualizzata: il museo diviene elemento di attrazione di un territorio, ed è per questo che è economicamente conveniente, per i suoi operatori economici, che sia valorizzato: non in quanto bene produttivo in sé. Sono infatti le fondazioni bancarie e gli enti locali i soggetti che – secondo il dato di esperienza - conferiscono a siffatte iniziative le principali risorse finanziarie.
6) Concorrono con questi gli interessi di altri soggetti che partecipano a siffatte iniziative (es. le università, per la ricerca). Ma parimenti non sono, nella realtà delle cose, orientati all’utile.
7) Non va dimenticato che, diversamente da chi allestisce e gestisce un museo privato, il gestore di un museo pubblico non sopporta il principale dei costi di investimento, costituito dalla acquisizione della raccolta, dell’immobile che è contenitore e dal suo allestimento: e che esercita un’impresa propria nei soli limiti ed oneri della gestione, in quanto è affidatario di un servizio pubblico (vale a dire è un sostituto del Mibac, con una sostituzione giustificata dalla prospettiva della migliore capacità di raggiungere gli obiettivi pubblici di una valorizzazione di suo doverosa).
8) Non sembra porsi dunque, nei fatti, questione di conflitto purismo vs. aziendalismo.
9) Si condivide invece il principio della separazione delle competenze, per cui sia, preferibilmente, la legge stessa a prevedere che nella struttura organizzativa del soggetto affidatario del servizio pubblico sia presente un separato organo tecnico per la tutela e per la parte di interesse pubblico della valorizzazione, a provvista esclusiva del Mibac e con propri funzionari dipendenti dalla Soprintendenza (e con poteri, a questi riguardi, propulsivi, sollecitatori o interdittivi sull’organo di gestione): e che, corrispondentemente, i funzionari del Mibac non partecipino all’organo di gestione, lasciandolo ai vari soggetti terzi che concorrono all’affidamento. La previsione del contratto di servizio come definita dallo schema di decreto legislativo appare, nondimeno, coerente con tale idea e non confliggente.
10) Non pare nemmeno confliggere con detta idea il fatto che il Mibac possa nominare personalità illustri del mondo della cultura (scisse dalle sue funzioni di tutela e valorizzazione) nei consigli di gestione. Non si tratterebbe infatti di soggetti legati ad esso da vincolo di mandato professionale o titolari di pubbliche potestà, e che ben potrebbero contribuire al miglior orientamento culturale della gestione.
Giuseppe Severini Consigliere di Stato
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