A Forlì preziosi musei chiusi da recuperare, sacrificati dalle mostre 09-07-2015 AA.VV.
A Forlì preziosi musei chiusi da recuperare, sacrificati dalle mostre Un assurdo parcheggio cementizio da trasformare in area verde
A Forlì, da anni ormai, la situazione è questa: grandi investimenti, anche pubblicitari, in mostre che con la città e col territorio hanno sempre meno a che fare (il Liberty, Giovanni Boldini, l’anno prossimo “Il mito di Piero della Francesca” comprensibile a Rimini, ma qui…) e che poco lasciano dietro di sé, e, al contempo, chiuse al pubblico alcune collezioni importanti (il Museo archeologico) o addirittura uniche (il Museo Etnografico, uno dei più ricchi e significativi d’Italia) in pieno centro storico. Un caso “di scuola”. Le Mostre periodiche, sempre più avulse dal contesto storico forlivese e romagnolo, non consentono inoltre di completare nell’ampia sede del recuperato convento di San Domenico la Pinacoteca Civica con le grandi pale di pittori di spicco quali Cagnacci e Guercino. In un recente convegno, l’11 giugno scorso, è stata da noi sottolineata questa stridente contraddizione senza che alcuna notizia sia praticamente comparsa su giornali e tv, anche locali. Un assordante silenzio. Sono problemi annosi, certo, che non riguardano la Giunta in carica da un anno e però essi vanno proposti e riproposti per sottolineare come patrimoni essenziali vengano lasciati in uno stato di segregazione e, in certi casi, di deperimento per privilegiare il “mostrificio”. Vogliamo sottolineare infatti che l’archeologia - che si potrebbe così efficacemente raccontare oggi, con nuovi mezzi multimediali - relega qui in cantina materiali che vanno dal più antico insediamento umano d’Italia (800.000 anni fa) scoperto a Monte Poggiolo all’età del bronzo, a presenze di varie etnie in un’area strategica fino alla dissoluzione dell’Impero romano e oltre. Le raccolte etnografiche di Benedetto Pergoli e di Aldo Spallicci sulla società contadina sono, ripetiamo, di assoluto valore nazionale e presentano interi ambienti tradizionali, coi mobili, le tele stampate, le ceramiche, gli strumenti del lavoro rurale fino ai carri dipinti (caso unico nel Centro-Nord). Tutto chiuso nel Palazzo dei Merenda o segregato in un capannone dell’ex Consorzio Agrario a rischio amianto. E poi ci si lamenta che i giovani non abbiano il senso della storia, non coltivino la memoria, non sappiano nulla della società contadina (proprio nel momento in cui l’agricoltura torna in forme nuove e “naturali” ad emergere). A Forlì esiste pure un più che significativo Museo ornitologico privato. Esiste l’unico vivaio italiano di alberi, in specie da frutto, con oltre 11.000 “gemelli” di Patriarchi (alcuni dei quali morti nel frattempo) di tutta Italia, un archivio genetico formidabile censito in decenni di lavoro e circa 1600 di questi Patriarchi sono stati catalogati in Emilia-Romagna. Si può almeno riflettere in modo non effimero su questi e su altri dati strutturali, su queste vistose contraddizioni aperte o spalancate, sulla necessità di orientare investimenti anche sui musei e sulla didattica museale coinvolgendo scuole, associazioni, circoli ? Ma il convegno dell’11 scorso ha sollevato un altro vecchio problema che i recenti restauri di San Domenico dentro il quale si voleva insediare un teatro (battaglia per il recupero al tempo sostenuta isolatamente dalla Soprintendenza ai Beni artistici e storici di Bologna e della Romagna e da associazioni come Italia Nostra) rendono più acuto, e cioè la incredibile sopravvivenza di un manufatto tanto brutto quanto inutile e cioè la Barcaccia, il cementizio, ingombrante, disertato parcheggio. Ma non ci si è limitati all’ennesima denuncia. Si è presentata una proposta di soluzione con un chiaro apparato di costi (e di benefici) che elimina la colata di cemento la quale preclude la vista della chiesa e del complesso monumentale invadendo le strade e manomettendo gran parte del tessuto urbano storico adiacente. Manufatti, i soli realizzati per fortuna, facenti parte di un unico progetto di devastazione del San Domenico e degli spazi urbani circostanti e che oggi ne sono soltanto la monca e brutale testimonianza. Restaurati chiesa e convento, recuperati ai musei e a funzioni culturali, si è previsto di estendere l’intervento al loro intorno. L’intera area coperta dai parcheggi, coperto e scoperto, dovrebbe, a nostro avviso, diventare un grande giardino anche in riferimento agli antichi Orti appartenuti al convento, creando un tessuto connettivo fra le varie realtà architettoniche e urbane mediante un vasto spazio aperto connesso ai musei e alle attività culturali. Abbiamo valutato esattamente i costi di tale operazione e tale esame ha dimostrato che i costi della demolizione della Barcaccia risultavano sovrastimati, che con la stessa somma prevista per un intervento parziale volto, incomprensibilmente, alla conservazione dell’orrendo e inutile manufatto inteso quale “opera d’arte” (?) è possibile attuare, a beneficio della cittadinanza, una intera riqualificazione dell’area. Chiediamo ospitalità a quanti amano il dibattito culturale essendo state circondate le denunce e le proposte del nostro convegno del più accurato silenzio stampa. Locale e nazionale.
Luciana Prati, Marina Foschi, Vezio De Lucia, Andrea Emiliani, Maria Pia Guermandi, Tomaso Montanari, Giovanni Losavio, Fabio Isman, Sauro Turroni, Vittorio Emiliani.
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