“Sviluppo e tutela dei borghi rurali montani 01-10-2005 Roberto Mannocci
Questo intervento è stato tenuto durante un recente convegno dal titolo “Sviluppo e tutela dei borghi rurali montani” organizzato dall’ Istituto Italiano di Bioarchitettura
RECUPERO & TUTELA DEI BORGHI MONTANI
· Il Bene Culturale come valore in sé Patrimonio, risorsa, recupero, valorizzazione …… sono termini che, specialmente negli ultimi tempi, sempre più vengono usati in riferimento a ciò che forma l’insieme del nostro ambiente. Come benissimo ha illustrato nei suoi scritti Salvatore Settis, l’applicazione di questa terminologia ai beni storici e all’ambiente (patrimonio storico, risorsa ambientale….) denota e connota un preciso atteggiamento: la volontà di legare la cultura e l’ambiente all’economia ovvero la volontà di evidenziare e pubblicizzare nel modo di pensare comune che cultura e ambiente rappresentano una potente risorsa economica. Se da un lato questo legame tra cultura e risorsa economica può aver attenuato la sensazione comune che i beni culturali rappresentassero solo un pesante fardello, dall’altro si è instaurata un’equazione per cui il bene culturale deve rappresentare una risorsa economica e quasi non è riconosciuto più come tale se è incapace di dare reddito. L’insieme delle operazioni che portano il patrimonio culturale/ambientale ad essere risorsa economica va sotto il nome di valorizzazione. Questa comprende azioni culturali e tecniche che vanno dal restauro, al recupero, alla ristrutturazione, all’adeguamento, alla ri-funzionalizzazione, all’analisi del mercato, alla promozione pubblicitaria, alla sponsorizzazione, alla compartecipazione……. Ma è chiaro che dentro l’insieme delle opere della cosiddetta ‘valorizzazione’ spesso si possono celare azioni e funzioni che ledono l’essenza stessa del bene. Spesso, ad esempio, per ‘valorizzare’ un ambito naturalistico ambientalmente intatto (ove per valorizzazione si intende assegnare valore economico a quell’ambito) non si sa prevedere altro che la dotazione di attrezzature alberghiere, del tempo libero, parcheggi per i visitatori, punti ristoro, ristoranti, negozi di chincaglierie e oggetti ricordo, trasformazioni delle viabilità di accesso……ovvero un insieme di strutture che di quell’ambito ambientalmente intatto sono l’esatta negazione. Orbene queste forme di ‘valorizzazione’ rappresentano un pericolo enorme per i nostri beni ambientali e culturali perché sostanzialmente portano modelli urbani e di massificazione in ambiti il cui valore è proprio l’essere il contrario dell’urbanità, del mondo cittadino e della massificazione. C’è un aspetto perverso nell’attuale concetto di turismo!!! Facendo presa sul desiderio delle masse di conoscere e vivere realtà diverse dalla concitata vita quotidiana e nella consapevolezza delle limitate disponibilità economiche e temporali a disposizione delle medesime masse, le si invita ad un contatto veloce, facile e semplificato con la realtà visitata e gli ambienti sono piegati a rispondere a questa richiesta di accessibilità, di banalizzazione, di facilità, di velocità. Alla fine il turismo ricerca (al di là di un’immagine eccezionale) proprio quel mondo da cui vorrebbe evadere e che, alla fine, può portare alla distruzione o ‘menomazione’ di ciò che costituisce l’elemento attrattivo. Questa precisazione iniziale è indispensabile per ribadire che i beni culturali e ambientali costituiscono un valore in sé, indipendentemente dal ritorno economico che generano, e che comunque essi non vanno mai identificati con questo gettito economico.
· L’estensione del concetto di Bene Culturale Il concetto di bene culturale si è sempre più esteso nel tempo. Dal singolo grande monumento da conservare come su un piatto d’argento, liberato nel suo intorno per evidenziarne la sua intrinseca qualità, si è passati al riconoscimento del “contesto”, dell’insieme urbano o ambientale come unicum con il monumento dal quale il monumento stesso riesce a trarre senso, giustificazione e motivi nella sua stessa conformazione. La tutela del singolo pezzo di valore artistico va estesa nei fatti al tessuto circostante e ingloba l’intero centro urbano. Si introduce così il concetto di paesaggio, non solo come conformazione “bella” da mantenere, ma come contesto storico, testimonianza di un rapporto equilibrato e sedimentato tra le componenti naturali, l’opera dell’uomo e i suoi insediamenti. Un concetto talmente esteso da abbracciare l’intero territorio nella sua identità storica e passare così dai beni culturali puntiformi ai beni culturali come “luoghi”, per ognuno dei quali esiste uno “statuto”, un ruolo, un’essenza, un carattere, una struttura…… che non possono e non devono essere contraddetti, pena la perdita irreparabile della propria identità e dell’identità della comunità. Ciò che oggi deve essere tutelato, pur nei cambiamenti possibili, sono proprio queste specifiche identità dei luoghi, sia che queste interessino il paesaggio urbano che quello rurale che quello più integralmente naturalistico.
· Concetto di luogo e di struttura Ogni cosa, ogni luogo degno di tal nome ha una propria struttura e una propria essenza. Questa struttura e questa essenza devono essere salvaguardate come valori nel tempo soprattutto se ci riferiamo ai beni culturali e ambientali. Ogni cosa, ogni elemento è in grado di sopportare adeguamenti e sviluppi, ma fino ad un certo punto. Anche nel campo del sistema visivo ed estetico esiste un limite oltre il quale, come nel campo ecologico, lo sviluppo e la trasformazione non sono più sostenibili, ovvero compatibili con quella struttura formale di partenza e ne rappresentano uno snaturamento. Quali sono questi limiti ? Non possono esistere regole astratte valide per ogni dove e in ogni situazione. Alcune di queste regole, ma solo alcune, possono essere contenute in regolamenti comunali, ma la stragrande maggioranza di esse possono solo dipendere da uno studio e da una sensibilità che dovrebbe accomunare l’operatore economico, il progettista, l’esecutore e gli uffici pubblici chiamati a controllare …..e indirizzare. Facciamo un paio di esempi per esplicitare il concetto di struttura e di compatibilità. Difficilmente il cubico volume di una villa rinascimentale può sopportare un ampliamento volumetrico: ne verrebbe erosa la sua essenza di volume e progetto concluso, cambierebbe il reciproco rapporto tra le varie dimensioni….Invece assai più compatibile risulterebbe l’ampliamento di una corte rurale lucchese o, per restare in tema, di un borgo rurale montano. Perché questi ampliamenti, se effettuati nella direzione dello sviluppo di una corte o lungo la strada centrale del borgo, rientrano nella struttura costitutiva di questi elementi, che sono composizioni aperte nate proprio per crescere. Ma l’ampliamento risulterebbe non più compatibile se, come purtroppo è successo per molte corti e per molti borghi, si desse il via alla costruzione di una miriade di villette, ciascuna con il proprio autonomo volume e ciascuna circondata dal proprio giardinetto. La fissazione di minute regole apparentemente ferree accompagnata da un’applicazione burocratica e ‘insensibile’ non ha mai prodotto grossi meriti nella salvaguardia delle caratteristiche del territorio. Spesso, anzi, ha costituito un ipocrita alibi al suo sconvolgimento. Invece è la formazione culturale, generalizzata, di tutte le componenti che intervengono nelle trasformazioni territoriali un elemento di garanzia. Non stiamo affermando l’inutilità delle regole. Diciamo l’esatto contrario. Regole devono esistere perché sono la base obiettiva di una convivenza: regole generali e sempre applicate, in grado di garantire il rispetto della struttura su cui si interviene. Qualcuno potrà obiettare che non tutto ciò che ci circonda può avere la qualifica di luogo. Esistono ambiti, (generalmente prodotti purtroppo dalla nostra società attuale) a-strutturati, caotici che non hanno dignità di luoghi. Ebbene noi pensiamo che sia nostro compito e dovere dare una struttura di luogo a ciò che non la possiede…. Pensiamo a tante periferie…anche a quelle di città non grandissime.
· La valorizzazione Cerchiamo ora di mettere in relazione i contenuti dei paragrafi precedenti ovvero: 1. il valore in sé del bene culturale (borgo, paesaggio, edificio, luogo…..); 2. il riconoscimento della struttura; 3. l’ adeguamento; 4. la resa economica . L’ordine con cui ho messo questi fattori non è casuale, ma decrescente come importanza. La loro convivenza è possibile, anzi auspicabile, ma solo nel rispetto dell’ordine di queste priorità. Si parte dal riconoscimento assoluto del valore in sé del bene culturale o ambientale che abbiamo di fronte. Questo riconoscimento ci obbliga alla tutela e alla sua conservazione. Per ben effettuare questi compiti è indispensabile l’individuazione della struttura formale e costitutiva del bene la cui lesione comporterebbe lo snaturamento del bene stesso. L’individuazione di questa struttura comporta l’individuazione delle parti fondamentali (materialmente e d’uso) che non possono subire variazione. Sul bene solo allora possiamo elaborare un progetto di recupero e adeguamento compatibile con quella struttura fisica per garantirne la fruibilità, che (ne siamo convinti) è una delle componenti essenziali della conservazione (un bene che non è vivibile subisce abbandoni che ne accelerano la disgregazione). L’operazione, poi, dovrà essere sostenibile dal punto di vista economico e (è auspicabile!) dare vantaggi economici. Non siamo talmente astratti da non sapere che la prospettiva di vantaggi economici è la molla che guida moltissimi gesti umani e che nella realtà l’ordine dei fattori di cui sopra è esattamente l’inverso, anzi spesso si considerano solo gli ultimi due. Noi non vogliamo assolutamente criminalizzare la ricerca di vantaggi economici. Noi criminalizziamo forzature inverosimili che distruggono un bene non più riproducibile (e che appartiene alla collettività) per un immediato e troppo facile vantaggio di pochi singoli. Il fattore tempo con l’interesse solo verso ciò che è immediato e facile e che caratterizza la nostra società meriterebbe un’altra trattazione e un ripensamento. Su questo punto chiudo con un esempio. E’ stato fatto molto recentemente uno studio dal prof. Paolo Baldeschi, dell’Università di Firenze, sulle colline del Monte Albano nel centro della Toscana; colline terrazzate per la coltivazione della vite e dell’ulivo secondo la tradizione ed oggi in avanzato degrado. Questo tipo di coltivazione è stato confrontato sotto tutti gli aspetti con i sistemi a rittochino o a tagliapoggio etc…che esistono in altre realtà geologicamente e geograficamente analoghe. Se questi ultimi tipi offrono una lavorazione semplificata del terreno e la possibilità di un ampio uso di mezzi meccanici, al contempo si dimostrano assai più disastrosi per la vulnerabilità dell’ambiente e per l’accelerato consumo di humus portato via dai dilavamenti e quindi costituiscono impianti di durata assai limitata nel tempo. Alla fine di queste analisi è risultato che il sistema dei terrazzamenti non solo è il più conveniente dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico, tanto che si è dato l’avvio al ripristino dei terrazzamenti e dei muri a secco che li sostengono. E’ stato in questo caso dimostrato che tutela paesaggistica, sicurezza ambientale, durabilità e convenienza dell’investimento sono la stessa cosa, …….basta non pensare solo all’oggi!
Roberto Mannocci Presidente di Italia Nostra, Sezione di Lucca
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