Dal nuovo Codice degli appalti gravi rischi per i beni culturali 08-08-2016 Bruno Ciliento
Il nuovo Codice degli appalti, entrato in vigore nello scorso aprile, all’articolo 217 prevede numerose abrogazioni di norme precedenti. In particolare alla lettera v) quella dell’articolo 4 del decreto-legge 15 maggio 2011 n. 70, convertito in legge 12 luglio 2011 n. 106, ad eccezione dei commi 13 e 14.
Questa disposizione non è elencata in un successivo provvedimento di errata-corrige, per cui si deve ritenere corretta (a meno che eventuali errori siano sfuggiti alla verifica).
L’articolo 4 citato si riferiva in larga parte alla realizzazione delle opere pubbliche, ma il comma 16 - anch’esso oggi soppresso - modificava in modo significativo il Codice dei beni culturali, in particolare spostando da 50 a 70 anni il periodo di tempo necessario perché un immobile potesse essere dichiarato di importante interesse (articoli 10 e 12).
Tale misura insieme ad altre contenute nello stesso comma 16 intendeva facilitare le procedure del cosiddetto federalismo demaniale e in generale ridurre l’area di competenza dell’amministrazione dei Beni Culturali nel settore edilizio.
L’abrogazione del comma 16 crea una situazione di estrema incertezza normativa, tale da rendere necessario uno specifico intervento del legislatore. Essa, se dovuta a errore, manifesta l’inadeguatezza delle verifiche effettuate al testo del Codice, disattente ad aspetti di fondamentale importanza in tema di tutela del patrimonio culturale e agli stessi interessi delle amministrazioni e degli operatori economici. Se invece si trattasse di scelta voluta, risulta compiuta in maniera superficiale e priva di coerenza giuridica.
Anzitutto va rilevato che il comma 16 modificava talune parti del Codice dei beni culturali e che la sua abrogazione comporta di fatto la soppressione delle disposizioni su cui interveniva. A questo punto l’articolo 10 del Codice dei beni culturali, che contiene un elenco dei ‘beni’ che appunto possono essere definiti ‘culturali’, viene a perdere l’ultimo comma - che precisava, dopo le modifiche del decreto 70/legge 106, come non rientrassero nella definizione i beni mobili risalenti a meno di 50 anni e quelli immobili a meno di 70 (oltre alle opere di autore vivente).
Se ne deve dedurre che anche opere recentissime potrebbero venire dichiarate di importante interesse, cosa che pone complessi problemi e che in ogni caso appare in contrasto con le normative europee e quelle di salvaguardia del diritto d’autore (occorre qui rilevare che è in discussione al Senato - alla Commissione Attività Produttive tramite emendamenti al disegno di legge in materia di concorrenza - una proposta che incide sullo stesso argomento, dato che generalizza a 70 anni il periodo di tempo per la dichiarazione d’importante interesse, oltre a rendere meno stringenti i controlli sull’esportazione delle opere d’arte. Al di là del giudizio negativo che su tali proposte si esprime, è da rilevare che esse sono in contrasto con le norme europee in materia, che fanno riferimento ai 50 anni, come la legislazione italiana da inizio Novecento).
Di seguito, viene a cadere la disposizione del primo comma dell’articolo 12, che stabilisce come i beni culturali, individuati dall’articolo 10, possono essere oggetto di ‘verifica’ da parte degli uffici del MIBACT. La procedura rimane inalterata, ma l’articolo 12, così mozzato, risulta oscuro, contenendo rimandi a un comma non più esistente. Al tempo stesso non si afferma più che i beni pubblici (Stato, Regioni, Enti locali, proprietà ecclesiastiche ecc.) sono sottoposti a tutela fino all’effettuazione della verifica con esito negativo - elemento questo che potrebbe aprire la strada a pericolosissime interpretazioni laddove non siano stati emanati provvedimenti espliciti, cosa frequente su immobili meno prestigiosi (per non parlare del patrimonio mobile). Si tratta di una situazione giuridicamente contraddittoria e rischiosa.
Il varie volte citato - e abrogato - comma 16 contiene poi una serie di altre norme, in particolare incidenti sulle procedure di autorizzazione paesaggistica, che peraltro sono al momento oggetto di ulteriori provvedimenti legislativi collegati alle c.d legge Madia (conferenza di servizi, opere ‘strategiche’ ecc.) per cui necessiterebbero di altra analisi. Anche in questo caso, comunque, si è in presenza di situazioni di incertezza procedurale e amministrativa.
In ogni caso, limitando le considerazioni all’impatto - notevolissimo - sulle disposizioni relative agli articoli 10 e 12 del Codice beni culturali, si evidenzia l’assoluta necessità di un provvedimento urgente che detti disposizioni in materia, risultando forse non praticabile un ulteriore errata-corrige, che dichiari la permanenza in vigore delle disposizioni abrogate.
Con questa procedura sarebbe inoltre altamente auspicabile ripristinare e/o mantenere per tutti i beni il limite cinquantennale, visti i rischi che significative opere di architettura e arte del Novecento potrebbero correre fissando a 70 anni il periodo di tempo necessario per essere sottoposte alle normative di tutela.
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