La villa di Castellonchio a San Miniato. Storia, trasformazione e progetto d’uso. 22-05-2006 Olimpia Niglio e Manuela Parentini
La villa di Castellonchio, situata nella pianura sotto le colline di San Miniato, rappresenta un tipico esempio di villa rinascimentale di campagna. Dalla seconda metà del XV secolo, il contado sanminiatese era divenuto luogo prescelto di investimenti finanziari da pare di importanti famiglie fiorentine. Qui acquistarono grandi proprietà le antiche famiglie Pazzi, Strozzi, Riccardi, Pitti, Orlandini, Portigiani, Compagni, Uguccioni, Samminiati, ed infine Salviati. Le proprietà terriere ed immobiliari di queste grandi famiglie furono documentate nei vari atti dei fidecommessi, lasciati in eredità ai primogeniti. Oltre all’acquisto di grandi proprietà terriere queste famiglie costruirono dimore confacenti al loro rango sociale e che le potessero accogliere durante i periodi di permanenza in campagna. La villa di Castellonchio della famiglia fiorentina dei Salviati, di cui rimarrà in proprietà fino all’inizio dell’800, fu edificata al centro di una vasta tenuta agricola, che aveva visto il suo primo nucleo costituirsi nel 1520, con l’acquisto di “Una Possessione nel Comune di S.Miniato al Tedesco nel Popolo di S.Maria, et S.Gonda luogo detto…Castellonchio” e composta di alcuni poderi con “case da lavoratore”. La proprietà fu in seguito estesa con nuovi acquisti nel corso del ‘500-‘600 e la “Tenuta di Castellonchio” divenne una tra le più importanti del contado sanminiatese. Pochi sono i documenti rimasti sulla villa e su queste proprietà dei Salviati. Per l’edificazione della villa-fattoria, che risalirebbe al 1564, furono usati, in grande quantità, i laterizi ricavati dall’abbattimento della torre nel castello di San Quintino, un tempo di proprietà della famiglia Salviati, probabilmente ultima vestigia del castello fortificato. Gli altri laterizi furono presi dalle cave poste nella comunità di San Miniato e di proprietà della famiglia. La villa- fattoria, oltre ad essere dimora dei Salviati, nei periodi di residenza a San Miniato, era il centro delle attività agricole che si svolgevano nel territorio sanminiatese. Costruita in posizione strategica, era vicina ad una via di comunicazione importante, quale era la strada maestra per Firenze, Pisa e Livorno ed era anche vicina all’ imbarco fluviale sull’Arno. Alla fine del ‘500 la villa fu terminata e assunse l’ attuale connotazione tanto che i Capitani di Parte Guelfa, la menzionano nelle loro carte come “Palazzo di Averardo Salviati”. A metà del ‘700 la proprietà della fattoria di Castellonchio passò in eredità al cardinale Gregorio Salviati. Il cardinale effettuò vari investimenti e miglioramenti nella proprietà. Si deve a lui la costruzione di una nuova “casa da lavoratore” e la razionalizzazione dei poderi. La villa, secondo l’inventario redatto al passaggio di proprietà, era composta di 45 stanze, poste su 3 piani, una cantina e varie rimesse, il granaio e la legnaia. Oltre alla dimora nobiliare, annessi alla villa stessa, vi erano la bella cappella, la casa per il fattore “su due Piani”, infine il giardino, l’orto e la limonaia. La tenuta era composta di ben 16 poderi, più alcune terre sparse, che producevano vino, olio, grano, frutta, pascoli, gelsi, e una grande quantità di legname. Alla morte del cardinale scoppiò una disputa legale sull’eredità, che finì con una sentenza del Magistrato Supremo di Firenze, che assegnò tutti i beni appartenuti al cardinale, al marchese Tommaso Salviati, figlio di Alamanno, e discendente di un ramo cadetto. Di lì a poco il nuovo proprietario, con un atto di vendita stipulato nel 1806, cedette l’intera fattoria a Giovan Niccola Bertolli residente a Livorno, poi trasferitosi a Pisa. Terminò così il legame tra la famiglia Salviati e la villa-fattoria di Castellonchio, anche se nel territorio sanminiatese rimasero ancora molte proprietà ai Salviati, cioè tutti i beni non sottoposti al maiorascato, a cominciare dalla fattoria di Santa Gonda, posta proprio di fronte ai terreni limitrofi alla villa di Castellonchio. L’atto di vendita tra il Salviati ed il Bertolli, del 1806, iniziava proprio con la descrizione della “Fattoria, e Tenuta di Castellonchio Situata nella Comunità di Samminiato, e composta di Villa, Cappella, casa per il Fattore, Giardino, Orto, e di sedici Poderi situati nella Comunità di Samminiato, Montaione, e Cerreto”. La famiglia Bertolli, o Bertolla come si legge in alcuni documenti, si era arricchita grazie al commercio ed aveva in seguito acquistato molte proprietà terriere, divenendo così una delle famiglie più importanti in città. Anche i Bertolli, come i Salviati, avevano in seguito rafforzato la loro posizione sociale con contratti di matrimonio stipulati con altrettanti membri della nobiltà toscana. Dopo l’acquisto della fattoria i Bertolli divennero una delle più ricche del contado sanminiatese e Giovan Niccola Bertolli, e poi successivamente i figli Giovacchino e Giuseppe, risultarono essere tra i maggiori contribuenti, sia per le imposte dirette, che per le imposte fondiarie e immobiliari di San Miniato. La ricchezza di questa famiglia si può anche riscontrare attraverso la loro iscrizione nell’elenco dei possidenti che potevano partecipare alle cariche amministrative. Nel 1810, dopo l’annessione della Toscana, all’impero francese, il governo impose il pagamento di un’imposta che colpiva i beni immobili attraverso la tassazione delle porte e delle finestre. Attraverso quest’imposizione, dai documenti si può rilevare, che i Bertolli avevano nella comunità di San Miniato 16 case oltre la fattoria e villa di Castellonchio. I Bertolli, pur risiedendo a Pisa, non tralasciarono la proprietà sanminiatese ed effettuarono spesso lavori di miglioramento, sia alla villa che agli altri immobili della fattoria. I lavori di restauro interessarono oltre alla villa anche la cappella e nel 1811 i fratelli Bertolli presentarono un’istanza, sia a Vescovo, sia al Ministero per il Culto francese, affinché fosse ripristinato “L’Oratorio domestico di cui già godevano i Sigg. Salviati”. I lavori di restauro della cappella terminarono nel 1824, come attestava la lapide collocata sulla porta d’ingresso dell’oratorio. Nel 1842 comproprietari dei beni posti nella comunità di San Miniato, risultavano essere Giovacchino Bertolli ed il nipote Francesco. Quando Francesco Bertolli morì lasciò tutti i beni alle figlie, Pia ed Alessandra, le quali risultano proprietarie dal 1870. Dai libri contabili di fattoria, si può ricostruire l’organizzazione dei poderi, i rapporti con le famiglie contadine, le coltivazioni fatte, le rendite e le spese per la gestione dei beni. Nel 1885 la signorina Pia Bertolli, stipulò il contratto di matrimonio con il barone Livio Carranza. Con l’atto, il promesso sposo, diveniva proprietario della villa-fattoria di Castellonchio composta di 25 poderi e due “luogaioli”. Dai documenti rinvenuti si può senza dubbio affermare che dopo il matrimonio, avvenuto a Pisa il 12 luglio 1885, i coniugi Carranza diedero nuovo impulso alla tenuta di Castellonchio ed è di questo periodo la ristrutturazione della villa e la creazione del parco attuale, dato che la famiglia vi risiedeva abitualmente. Purtroppo le vicende familiari dei Carranza furono molto travagliate. Il primogenito Giulio morì giovane, lasciando un figlio piccolo. L’altro figlio maschio, Francesco, non era molto portato per gli affari, ancor meno per la conduzione delle proprietà terriere e non aveva eredi. Ciò nonostante Livio si cimentò in varie iniziative imprenditoriali, sia agricole che industriali, legate sempre alla lavorazione agricola. Nella proprietà fu aumentata la produzione di vino grazie all’impianto di nuovi vitigni. Ciò comportò anche l’esecuzione di lavori di ampliamento e miglioramento delle cantine della fattoria, eseguiti tra il 1928 ed il 1933, come ricorda l’iscrizione posta sulla porta delle cantine stesse. Durante il periodo bellico la situazione economica dei Carranza iniziò a peggiorare. La villa di Castellonchio fu, da prima, per un breve periodo, sede del comando tedesco. Parte delle proprietà a Castellonchio furono danneggiate sia per la permanenza dei tedeschi nella villa, sia perché questi incendiarono una delle case coloniche vicine, a causa di una rappresaglia dopo l’uccisione di un soldato tedesco. All’arrivo degli americani la villa ed i terreni furono usati quale base per il campo militare. Nel marzo del 1958 Livio Carranza morì e nel 1960 fu la volta del figlio Francesco. Tutti i beni passarono ad Alberta Michelazzi, moglie di Francesco Carranza, la quale, secondo la clausola contenuta nell’atto notarile, avrebbe ereditato tutte le proprietà, ma a condizione che alla sua morte, tutto tornasse ai Carranza. Con la nuova proprietà cessò qualunque tipo di investimento e la villa di Castellonchio fu quasi completamente abbandonata. Fu in questo periodo che la quasi totalità dei terreni e dei fabbricati furono alienati. Insieme ai poderi ed ai fabbricati dell’antica fattoria di Castellonchio, furono venduti i mobili della villa, le suppellettili, i libri della biblioteca, i documenti e anche molti degli arredi sacri della cappella, compreso il pregiato organo. Alla morte della vedova Carranza ben poco era rimasto dell’antica proprietà. Tra le ultime alienazioni vi fu quella della casa annessa alla cappella, con la stalla e la corte. Dunque secondo le volontà testamen tarie, alla morte di Alberta Michelazzi, i pochi beni rimasti e risalenti alla famiglia Bertolli Carranza tornarono in possesso delle ultime eredi Carranza, figlie di Nicola, residenti a Pisa. Ma di questi beni restava ben poco, se non la villa con annessi alcuni fabbricati e terreni confinanti. Le eredi Carranza, entrate in possesso dei beni alienarono a loro volta questi fabbricati e terreni rurali rimasti e prospicienti la villa. Nel 1987 le Carranza presentarono un’istanza al Comune di San Miniato per la trasformazione ed il recupero della villa di Castellonchio, in un complesso turistico alberghiero. Poco dopo anche la villa fu ceduta ad una società immobiliare che ne è l’attuale proprietaria. Si apre, così, un capitolo molto delicato che è quello della trasformazione del complesso architettonico ed ambientale della villa di Castellonchio e del suo riuso più idoneo. Il caso dell’architettura, in generale, è certamente unico perché la sua sopravvivenza è strettamente connessa con la presenza di condizioni e di scelte funzionali che a lungo andare non possono che determinarne la scomparsa, in forma più accelerata di quanto non comporti l’usura causata da processi naturali di degrado e che in ogni caso riguardano tutti i manufatti. Prevalentemente il monumento è visto soprattutto come “documento”, parte di una catena di avvenimenti storici, come questo contributo stesso descrive, e quindi strumento positivo di conoscenza, il cui bagaglio è alla base delle azioni presenti e future che non possono sottrarsi da tutto ciò che è avvenuto per meglio valutare ciò che dovrà poi essere. Quindi il progetto d’uso mentre riconosce la capacità testimoniale e culturale di ogni frammento della materia, anche la più minuta, letta nella sua più complessa stratificazione storica, allo stesso tempo deve fondarsi su premesse ideologhe e giudizi di valore che non possono essere separati da un rapporto invece diretto tra forma, materia, valori rappresentativi, condizioni materiali, aspetti culturali e la società che poi ne usufruisce. Il valore intrinseco dell’opera deve essere allo stesso tempo motore e propulsore delle scelte funzionali, perché ogni uso è inevitabilmente trasformativo, ma la creatività di chi progetta il futuro sta proprio nell’individuare la modifica più adeguata dei modi di fruizione di un bene senza mutamenti irreversibili. Questo è quanto ci si auspica per il futuro dei monumenti che il passato ci ha trasmesso e dove il nostro compito altro non è se non quello di trasmetterli alle generazioni future, affinché anch’essi possano godere di quanto noi abbiamo goduto e conosciuto.
Manuela Parentini, storico, Lavora al Comune di San Miniato quale responsabile del Servizio Ambiente e Turismo
Olimpia Niglio, Architetto è docente di Restauro Architettonico presso l’Università di Pisa, Dipartimento di Storia delle Arti.
La documentazione è tratta dal volume di O. Niglio (a cura di ) Il Palazzo Bertolli Carranza. Una dimora nobiliare nel centro storico di Pisa, Roma 2005 ed in particolare all’interno del volume si è fatto riferimento ai contributi di M. Parentini, Le famiglie Bertolli e Carranza e le loro proprietà a San Miniato e di C. Mori, Storia di Castellonchio e la Villa sub-urbana.
|