Bernini alla Galleria Borghese: una bella mostra ma problematica 20-11-2017 Enzo Borsellino
BERNINI ALLA GALLERIA BORGHESE: UNA BELLA MOSTRA MA PROBLEMATICA
La Galleria Borghese è costituita da un edificio storico che conserva una collezione artistica della prima metà del Seicento esposta nel suo luogo originario, le cui sale mantengono ancora integre tutte le decorazioni e gli allestimenti della fine del Settecento quando fu rinnovata “alla moderna” nell’assetto interno secondo il gusto e le stile dell’epoca. Il museo è di fatto una collezione “chiusa”, storica, una “mostra permanente” dei capolavori che soprattutto Scipione Borghese ebbe il desiderio, la volontà e il merito di adunare in quel piccolo edificio, il Casino, della grande villa di famiglia. Essa non ha, quindi, contrariamente ai musei moderni (o almeno a quelli che ce l’hanno), spazi espositivi specificamente dedicati alle mostre temporanee. Utilizzare le sale per esposizioni costringe ogni volta ad intervenire, anche modificandolo, sull’allestimento riproposto nel 1997, dopo 13 anni e mezzo di chiusura del museo a causa di importanti e necessari restauri, studi e ricerche. La mostra appena inaugurata alla Galleria Borghese dovrebbe essere uno degli eventi del progetto “10 grandi mostre” (www.diecigrandimostre.it) promosso dalla direzione del museo in partnership con una società privata aventi per tema un artista di cui almeno un’opera sia presente nella collezione Borghese, ma nel catalogo della mostra non si fa cenno a quel progetto. Dopo quella su Bernini scultore del 1998, in concomitanza del quarto centenario della nascita del genio del barocco (ma c’era anche una sezione sulle sue opere pittoriche) e L’ultimo Caravaggio (2004), è iniziata la serie delle “grandi mostre”: Raffaello (2006), Canova (2007), Correggio (2008), Caravaggio-Bacon (2009), Cranach (2010), I Borghese e l’Antico (2011). Restano ancora da organizzare secondo il programma quelle su Dosso Dossi, Tiziano, Domenichino. Nel corso di questi anni, al di fuori del progetto sopra citato, fu organizzata alla Borghese un’altra esposizione (con una sola opera non della Galleria Borghese), da dicembre 2012 al novembre 2013, L’arte della Fede. Tutte le mostre citate hanno comportato l’aumento del prezzo del biglietto e la necessità di modificare l’allestimento, a volte occultando opere esposte o trasferendole nei depositi per far spazio agli oggetti in prestito per il periodo delle esposizioni (in genere tre o quattro mesi). Arrivando all’analisi della mostra odierna, oltre allo scontato appagamento per la vista di noti capolavori, viene immediatamente spontanea la domanda sulle ragioni per cui si continuano ad allestire mostre nello splendido museo di villa Pinciana. Sete di conoscenza? Progresso negli studi storico-artistici? Valorizzazione dei nostri beni culturali? Non sembrano ad una prima analisi essere questi gli obiettivi, se teniamo conto che le opere esposte sono quasi tutte oltremodo note. Inoltre, molti dei pezzi presentati si trovano nella stessa Galleria o a Roma, quindi con possibilità di essere visti normalmente da parte del pubblico, almeno quello romano. Ma discutibile prima di tutto è che si costringa coloro che desiderano e hanno pianificato, magari da mesi e dall’estero, di visitare la strepitosa raccolta Borghese, a dover pagare una quota aggiuntiva al biglietto d’ingresso per la presenza della mostra: 22 euro a persona (compresi i due euro di balzello della prenotazione obbligatoria incamerati dalla società privata che ha in gestione la biglietteria) sembrano effettivamente una cifra alta per due ore di visita alla Galleria Borghese. Purtroppo va ricordato che è l’unico museo che ha una visita “contingentata”: un’ora per il piano terra e una per il primo piano. E l’ammiratore di Bernini, che ovviamente conosce i capolavori berniniani della Borghese, dovrà pagare anche lui 22 euro per vedere i pezzi della mostra. Altra domanda ricorrente all’apertura di una nuova mostra nella Galleria Borghese è: perché continuare a stravolgere l’assetto museografico riallestito dopo i costosi lavori di restauro e saturare, seppur temporaneamente, le sale già colme di capolavori con altre opere d’arte? Il titolo della mostra odierna, Bernini, lascia supporre una ricognizione su tutti i tre campi di azione del grande artista di origine napoletana. Ma l’architettura berniniana è stata volutamente esclusa come si dichiara nella introduzione al catalogo. Eppure nel comunicato stampa si parla di mostra “monografica”. Viene di pensare che tale titolo sia stato scelto per non ripetere quello, più adeguato trattando la mostra soprattutto il tema della scultura di Bernini, già usato nel 1998. La statua di Santa Bibiana, restaurata per la mostra e inserita nel percorso, è una buona occasione per vederla da vicino ma soffre, più di altre opere esposte, del problema della decontestualizzazione, in quanto è stata pensata da Bernini come splendido ornamento dell’altare maggiore della chiesa omonima da lui progettato (oltre la facciata della chiesa) e lì va vista e ammirata. Forse ricreare intorno alla statua una struttura, magari virtuale o un modellino, che evocasse il rapporto spaziale nel quale Bernini l’ha inserita, secondo il concetto berniniano dell’unità delle arti visive, avrebbe arricchito la comprensione dell’opera. Alla Borghese si assiste di fatto ad una riproposizione della mostra del 1998, compreso il prestito dal museo del Louvre della statua antica dell’Ermafrodito (esposta anche più di recente nel 2011-12 nella mostra I Borghese e l’Antico); la scultura però non è stata scolpita dal Bernini, come si legge nel comunicato stampa, ma fu da lui solo restaurata inserendo intorno alla languida e inquietante figura dormiente di epoca ellenistica quel molle e soffice (alla vista) materasso marmoreo che desta sempre meraviglia. Essa è stata esposta nella stessa sala dove si trovava fino al 1807, quando fu “venduta” da Camillo Borghese al potente cognato Napoleone con altre numerose sculture antiche della collezione. Camillo ricostituì la collezione di arte antica con altri reperti e inserì un’altra versione dell’Ermafrodito che attualmente è assente nella sala. Perché non lasciarla a confronto, invece di immagazzinarla in un deposito per tutti i mesi della mostra? Non entro nel merito delle attribuzioni delle opere, alcune delle quali problematiche, lasciando agli specialisti e studiosi del Bernini il compito. La vera ragione di queste mostre nella Galleria Borghese è fondamentalmente economica: organizzare una mostra nell’antico Casino di Scipione e poi di Marcantonio e Camillo Borghese è una garanzia di successo, anche di incassi, assicurata in partenza, essendo uno dei luoghi artistici romani più visitati e irrinunciabili. Il sovrapprezzo del biglietto non costituisce un ostacolo alla visita, soprattutto da parte dei turisti; lo stesso avviene al Colosseo, a Castel Sant’Angelo e ai Musei Capitolini, tanto per citare qualche esempio romano. Vorremmo sapere a questo punto quanto del ricavato dei biglietti, della vendita dei cataloghi e dei gadgets della mostra andrà alla Galleria Borghese che ha messo a disposizione una sede di valore incommensurabile e le opere più significative. Anche perché queste risorse aggiuntive potrebbero servire per contribuire ai costi di manutenzione del museo, vista l’esiguità dei fondi ministeriali. Va ricordato a questo proposito che nell’estate 2014 l’impianto di climatizzazione fu dichiarato dalla direzione “… completamente usurato e sconta anni di cronica mancanza di manutenzione … la richiesta di un nuovo impianto è in ballo da 4 o 5 anni … Due anni fa si rifece uno dei motori, ma poi non si proseguì per mancanza di risorse…” (S. Grattoggi, R.it 11.5.2014). Ancora nell’estate del 2017 esso ha subìto un altro blackout. Sembra incredibile che un museo che ha quel boom di ingressi e di incassi non riesca a trovare i soldi per un impianto che è essenziale per la conservazione delle opere. La conservazione in un museo è il primo fine da raggiungere. Nel comunicato stampa congiunto del Ministero per i Beni e le Attività culturali e del Turismo e casa Fendi, attuale partner istituzionale della mostra Bernini, si parla infatti di un nuovo programma triennale di mostre alla Galleria Borghese e della nascita di un Caravaggio Research Institute per “esportare con Caravaggio la bellezza italiana nel mondo”, sostenuti finanziariamente da Fendi. Forse parte dei fondi degli sponsors potrebbero essere utilizzati, più che per le mostre e i centri di ricerca, per risolvere i problemi tecnici ma basilari del museo. Al di là del reiterato uso improprio del museo per mostre temporanee, la conseguenza sarà che dal 21 novembre prossimo tre delle più importanti opere di Caravaggio di proprietà della Galleria Borghese andranno in mostra al Getty Museum di Los Angeles (dove l’ingresso e le mostre sono gratuiti) fino al 18 febbraio 2018. Ciò significa che chi andrà a visitare la Galleria Borghese in questo periodo sarà privato della visione di quegli emblematici dipinti caravaggeschi intimamente connessi con la storia della collezione Borghese. Siamo certi poi che tali dipinti, unici e irripetibili, possano affrontare un tale lungo viaggio senza rischio di danni, furto o perdita accidentale? Non sarebbe il caso di dichiarare inamovibili queste opere di importanza capitale? Si avvertirà di tale assenza all’ingresso o sugli acquisti online dei biglietti, come sono soliti fare alcuni seri musei pubblici e privati anche per la sola assenza di un’importante opera? Oltre a ripensare ad una radicale revisione della politica generale delle mostre e dei prestiti, questi due primi atti sarebbero doverosi.
Enzo Borsellino Cattedra di Museologia Università degli Studi Roma Tre
Roma, 15/11/2017
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