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A rischio di dispersione la collezione di André Breton
22-01-2003
Laura Iamurri, storica dell'arte

André Breton ha vissuto dal 1922 al 1966, anno della sua morte, in un appartamento al numero 42 di rue Fontaine a Parigi. Nei locali della sua abitazione il ‘papa’ del surrealismo ha raccolto una collezione straordinaria, nella quale ai dipinti e alle sculture si affiancano le maschere e gli oggetti di arte ‘primitiva’, alle fotografie e ai disegni si accompagnano le opere d’arte ‘popolare’, ai libri e ai manoscritti le trouvailles di una vita: quelle trouvailles che tanta importanza assumevano nella poetica surrealista dell’incontro fortuito e che andavano ad incastrarsi in un insieme eterogeneo e però serrato. Chi non ha mai avuto la possibilità di vedere i locali della rue Fontaine ha potuto farsene un’idea visitando le sale del Musée National d’Art Moderne, dove sono state riallestite – identiche e immodificabili – due pareti dello studio di Breton, che nel loro affascinante horror vacui tessuto di rimandi e suggestioni contrastano singolarmente con l’ordinamento spazioso e strutturato del museo; i due murs sono stati acquisiti dallo Stato francese alla scomparsa, nel 2000, di Elisa Breton, che per più di trent’anni aveva conservato gli spazi e la raccolta così come Breton li aveva lasciati. Il resto della collezione è rimasto finora a rue Fontaine.

Questo insieme eccezionale – all’interno del quale figurano tra gli altri dipinti di Picabia, Ernst, Brauner e fotografie di Man Ray, Claude Cahun – verrà messo all’incanto, il prossimo mese di aprile e per la cura della casa Calmels Cohen, nei locali dell’Hôtel Drouot-Richelieu; l’esposizione delle opere si svolgerà dal 1 al 6 aprile, le vendite dei 5300 lotti avranno luogo dal 7 al 18 aprile; il valore stimato dell’asta varia dai 30 ai 40 milioni di euro.
L’attuale sistemazione della raccolta, assicura la casa Calmels Cohen, resterà documentata in un CD-ROM che, come e meglio del film di Fabrice Maze prodotto nel 1994 dal Centre Pompidou, permetterà a chiunque di “visitare” la collezione nel suo accrochage unico e fantastico.

La notizia, pubblicata dal quotidiano “Libération” il 6 novembre 2002, è passata in un primo momento inosservata; a dicembre, veniva ripresa da Maurice Nadeau (autore della prima e fortunatissima storia del surrealismo) sulla “Quinzaine Littéraire”, subito rilanciata dal “New York Times” (20 dicembre) e da “Le Monde” proprio a ridosso delle vacanze di fine anno (22 dicembre). Dal 7 gennaio 2003 un appello redatto da Mathieu Bénézet è ospitato sul sito www.remue.net (in Italia ne hanno dato notizia “l’Unità” e “il manifesto”); all’appello hanno aderito più di mille persone, che sono state coinvolte, attraverso l’inclusione in una mailing list, in un dibattito accanito e affascinante, all’interno del quale vengono quotidianamente sollevate questioni di interesse generale; allo stesso tempo, nella discussione pubblica hanno trovato grande spazio le passioni suscitate, ed evidentemente mai sopite, dal surrealismo e dalla figura di Breton.

Così c’è chi è arrivato a sostenere che la dispersione sarebbe la giusta fine – ‘surrealista’ – della raccolta, con il ritorno degli oggetti nel mondo dal quale lo stesso Breton li aveva prelevati, mentre un intervento dello Stato sarebbe incongruo nei confronti di un intellettuale che per tutta la vita ha avversato le patrie e le nazioni… Posizioni di questo tipo, curiosamente convergenti con la presentazione della vendita che campeggia sulla home page del sito web di Calmels Cohen, sono per fortuna isolate. La maggior parte degli interventi verte invece sul come impedire la dispersione: lo Stato è accusato di colpevole indifferenza e mentre ci si chiede come sollecitarne l’intervento, c’è chi propone di organizzare una società ad azionariato diffuso per raccogliere la somma necessaria ad acquistare l’intera collezione e conservarla nell’appartamento di rue Fontaine.

La conservazione dell’insieme, anche in questa fase di incertezza sul destino della raccolta, è già un tema di discussione e investe da una parte le riflessioni che accompagnano in genere la sistemazione delle case-museo e dall’altra il senso di un eventuale smontaggio e riallestimento nei locali di un museo; per inciso, vale la pena di ricordare che questa seconda soluzione è stata adottata, con risultati tutt’altro che spregevoli, per l’atelier che Constantin Brancusi aveva lasciato allo Stato francese. Certo, il rischio di “mummificazione” è alto, sia nell’ipotesi di conservazione dell’attuale allestimento negli angusti locali di rue Fontaine, sia nell’eventualità di una ricostruzione à l’identique in un luogo più funzionale alla fruizione pubblica. Ma il carattere stesso della raccolta, nella sua caratteristica eterogeneità, nel suo non essere una selezione di capolavori, obbliga ad una conservazione unitaria del tutto: viene da chiedersi che senso avrebbero, isolati e separati dai dipinti e dalle sculture, dalle fotografie e dagli oggetti surrealisti, le collezioni di bastoni da passeggio e le decine di objets trouvés, le pietre dalle forme curiose e i rami nodosi, in una parola il bric-à-brac che Breton ha riunito nel geniale insieme della sua collezione e che in quel contesto trova senso, contribuendo alla definizione di una raccolta unica.


Il testo dell’appello è on line all’indirizzo
www.remue.net/litt/breton_appel.html

Alla pagina www.remue.net/litt/breton_01.html , oltre a un bel testo di Julien Gracq, si possono trovare numerosi link, che rinviano in particolare alle prime reazioni di alcuni intellettuali americani (Tran e Clifford, fra gli altri), alla rassegna stampa dell’intera vicenda, e a un dossier messo a punto dalle éditions Corti. È possibile inoltre accedere alle mail ricevute e messe in circolazione.

L’intervento di Maurice Nadeau e gli articoli di Alan Riding (“New York Times”) e Michèle Champenois (“Le Monde”) si possono leggere in
www.remue.net/litt/breton_02.html

Le opere della collezione sono (ovviamente) illustrate nel sito di Calmels Cohen:
http://breton.calmelscohen.com



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