Castelnuovo di Auditore: la presente condizione di Castelnuovo non lascia certo ben sperare. 31-01-2007 Alessandro Giovanardi - Gabriele Bartolini
Pier Paolo Pasolini ammoniva i suoi contemporanei, catturati dall'ebbrezza della modernità e del boom economico, affinché non dimenticassero la nobile tradizione artistica e artigianale d'Italia, proprio nel momento in cui la si stava maggiormente offendendo, sia con un calcolato sfregio, sia con un inconsapevole, ma altrettanto colpevole oblio.
Ogni reperto, colto o popolare, di un'eredità storica così antica e complessa, intessuta di elementi diversissimi, meritava, secondo il Nostro, di essere difesa con la medesima passione e lo stesso intransigente rigore con cui ci si occuperebbe, per esempio, della Cappella Sistina o della Basilica di San Francesco ad Assisi. Persino un viottolo costruito lentamente con sassi di fiume da una civiltà contadina, sentenziava Pasolini, ha diritto alla sua integrità, a parlarci ancora del mondo che l'ha generato e dei suoi impliciti valori materiali e spirituali.
Per questi motivi è bello poter ospitare, in una mostra minima ma di alto livello estetico e culturale, le più significative fotografie che hanno preso parte al Concorso per la salvaguardia e il ripristino dell'antico borgo di Castelnuovo di Auditore. Il piccolo paese, pur essendo situato in Provincia di Pesaro e Urbino, ha condiviso non poco della sua storia con quella riminese. Difatti, sorto nell'XI secolo come borgo rurale arroccato su di un'altura che domina la sottostante vallata del Ventena, a quel tempo ricca di stupendi boschi, Castelnuovo fu feudo prima dei Canonici di Rimini poi del Comune stesso e quindi della mensa vescovile della nostra città, passando - in seguito alla dispersione della nobile famiglia dell'Auditore - al ramo riminese dei Malatesta che vi costruirono le mura di difesa. Fino alla metà del Trecento seguì le vicende politiche di tutto il comprensorio di Rimini situato tra i fiumi Conca e Foglia. Dalla seconda metà del XIV secolo fino all'invasione napoleonica (1797), ossia per oltre quattro secoli, Castelnuovo rimase piuttosto legato alle vicende storiche e politiche di Pesaro, anziché a quelle di Rimini, pur restando dominio del ramo pesarese dei Malatesta fino alla prima metà del XV secolo, quando entrò nella sfera amministrativa dei Duchi di Urbino. A Castelnuovo restano tuttora significativi tratti delle fortificazioni - malatestiane e successive - risalenti ai secoli XIV e XVII, alla cui base si schiudono le antiche e umide grotte che fungevano da magazzino. Del castello restano solo poche tracce, mentre la chiesa, con l'alto campanile, è uno dei pochi edifici ancora in condizioni non irrecuperabili, malgrado sia stato disperso tutto il suo arredo artistico e liturgico. La mostra fotografica è solo un umile tentativo per informare e sensibilizzare i cittadini delle Province di Rimini e di Pesaro e Urbino, affinché Castelnuovo non segua fino in fondo il destino di desolazione e abbandono caratteristico di troppe zone rurali di un territorio che andiamo via via demolendo, pezzo dopo pezzo. Se davvero il paesaggio e il linguaggio, il mito e il rito restano i quattro pilastri su cui fondare la felicità dell'abitare il mondo, anche queste pietre sono il punto di partenza per cui risvelare l'incanto e l'aura dei luoghi, ormai scomparsi dalla nostra sfera di esperienza.
Alessandro Giovanardi
La presente condizione di Castelnuovo non lascia certo ben sperare. Difatti, oltre all'abbandono storico dei legittimi proprietari, risulta ben più grave l'abbandono di quelle istituzioni che lo dovrebbero tutelare e conservare. Innanzitutto, il Comune di Auditore, al quale Castelnuovo appartiene, invece di proteggerlo con una politica di salvaguardia e ripristino, si è finora impegnato in un fantomatico quanto improbabile progetto "ricostruttivo" che, oltre a snaturare la memoria di questo piccolo ma antico e suggestivo borgo, rischia di cancellare il paesaggio naturale e storico della Val Ventena. Il piano attuato dal Comune di Auditore, che parte da molto lontano, prevede in primis l'esproprio forzato degli immobili facenti parte del borgo, chiesa compresa. Si fa eccezione per sole tre unità, le uniche ancora abitate, che dovrebbero essere integrate in una pseudo-ricostruzione storica (vera e propria foglia di fico per nascondere le vergogne) fatta, in realtà, con l'impiego di materiali moderni, che nulla hanno a che vedere con il periodo medioevale-rinascimentale del borgo. L'ovvio tentativo è quello di sfruttare una superficie edificabile bella e pronta, causando uno dei tanti, troppi scempi edilizi dei nostri tempi, con il solo intento di monetizzare quanto più possibile e senza nessuna cura per la qualità del territorio. Quello che risulta ancora più sconcertante, è la latitanza degli organi di tutela, tra cui la Soprintendenza ai Beni Culturali, che non ha posto i dovuti vincoli, contravvenendo alle leggi vigenti, le quali prevederebbero che i limiti vengano imposti prima dell'approvazione di tali progetti. E, in effetti, il piano del Comune è stato approvato nel luglio del 2000, mentre la Soprintendenza ne è venuta a conoscenza solo nel gennaio 2004 con un imperdonabile ritardo ed in seguito esprimendosi con un laconico: «Provvederemo a porre i vincoli a esproprio ultimato». Tutto questo ha dato la possibilità al Comune di Auditore, e alla società creata ad hoc con una sedicente impresa del Liechtenstein (della quale si ignorano ufficialmente i titolari), di diventare padroni di ciò che non appartiene loro, utilizzando il paravento, davvero improprio in questo caso, della pubblica utilità, che assolutamente contrasta con le finalità progettuali. Altra figura ignara e speriamo inconsapevole di ciò che sta avvenendo nell'entroterra marchigiano, è la Provincia di Pesaro e Urbino, che in nessun modo ha controllato e verificato la correttezza dell'iter burocratico, decisamente fuori dei canoni, e in particolare che venissero rispettate le norme che regolano le ricostruzioni dei siti appartenenti al patrimonio storico di tutta la comunità, Marche comprese. L'unica eccezione è rappresentata dal Consiglio Regionale delle Marche che per opera di alcuni consiglieri della giunta ha cercato, senza peraltro riuscirci, mediante diverse interrogazioni, di approfondire la conoscenza dei fatti e di determinare la vera natura di quello che appare un procedimento tanto insolito quanto ambiguo, ricco di interrogativi e con una trasparenza decisamente latitante, laddove dovrebbe essere di primaria necessità. Oggi Castelnuovo rischia seriamente di cambiare fisionomia, oltre che proprietari, e lasciare che questo avvenga è grave almeno quanto la stesura di quel progetto tanto speculativo quanto sbagliato. L'indifferenza non giova a nessuno, nemmeno a coloro che tentano un insano arricchimento ai danni della storia. Il Concorso fotografico "Borgo di Castelnuovo", che si è tenuto dal 15 marzo al 30 ottobre 2006, è nato con il nobile intento di sensibilizzare l'opinione pubblica sul borgo antico, per troppo tempo dimenticato, e nella stessa misura di preservarlo e tutelarlo da facili avventori senza scrupoli, che intendono distruggerne la storia. In quest'ottica è stata indetta la "competizione fotografica", per immortalare, fissare e fermare attraverso l'obiettivo lo stato delle cose, il paesaggio e quanto il tempo e gli uomini ci hanno consegnato. Una sorta di album che ci parla e ci racconta di un passato che vogliamo portare nel futuro, un passato medievale prima, rurale poi, che appartiene a tutti noi, un bene che vogliamo far risplendere a dispetto del tempo e delle istituzioni; istituzioni che lo hanno calpestato ed ignorato pregiudicandone la bellezza e l'integrità.
Gabriele Bartolini
Per saperne di più sul Borgo di Castelnuovo: borgodicastelnuovo@libero.it
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