ELOGIO DELL’”ARCHITETTURA SENZA ARCHITETTI” 28-03-2007 Giovanni Ferrario
A soffermarsi sul panorama architettonico contemporaneo la situazione sembra davvero non avere limite al peggio: campagne e dintorni delle città sono costellati di villette a schiera e capannoni prefabbricati sempre uguali e sempre devastanti (anche visivamente) rispetto alla natura che vanno ad occupare, mentre le aree urbane occupate vengono progressivamente rase al suolo per fare spazio a moderni ed anonimi condomini. Sembra che, dagli anni della ricostruzione postbellica e sempre più rapidamente in questi ultimi anni, il territorio sia diventato esclusivamente un qualcosa da “spremere” per specularci sopra dal punto di vista economico. Norme edilizie ed urbanistiche sempre più invasive, complesse e burocratiche, enti (i più disparati entrano ormai nelle decisioni da prendere nella fase di progettazione), architetti che dovrebbero essere sempre più preparati dopo lunghi anni di studio, non sembrano poter porre fine a questa situazione imperante.
Viene nostalgia per i tempi (ormai passati) quando l’Architettura doveva essere realmente la Risposta ai problemi dell’uomo e non un problema essa stessa. E a questo riguardo non intendo esclusivamente le opere grandi e maestose dei secoli passati create da insigni Architetti, ma anche quell’Architettura ingiustamente e a lungo definita “minore”, quell’”Architettura senza Architetti” che doveva rispondere ai bisogni primari dell’uomo nelle sue molteplici forme: le cascine, gli edifici dei piccoli borghi e delle città, edicole e cappelle votive, edifici insomma delle tipologie più varie …
Un’Architettura capace di costruire un valido contesto per le opere architettoniche rilevanti eppure costruita spesso (anzi, oserei dire il più delle volte) senza nemmeno avere alle proprie spalle la figura dell’architetto, ma basata sulle tradizioni costruttive locali, nel pieno rispetto dei materiali e delle tecnologie disponibili.
Un’Architettura capace di dare un senso alla presenza umana e alla vita di tutti i giorni dell’uomo, e del suo lavoro, eppure costruita con norme molto più intuitive e logiche della maggior parte di quelle attuali, esageratamente burocratiche e per nulle interessate alla qualità architettonica ma solo al rispetto di sterili normative.
Un’Architettura fatta per durare nel tempo il più possibile, magari per intere generazioni, capace di essere progressivamente modificata, riadattata alle nuove esigenze, di vivere di continue “aggiunte”, di stratificazioni edilizie, magari anche di parziali demolizioni e sostituzioni.
Un’Architettura fatta di materiali naturali (essenzialmente cotto, pietra, legno, …) che dalla natura derivano e che disgregandosi alla natura “ nobilmente” tornano, con forme anche essenziali e strettamente funzionali ma senza mai dimenticare un qualcosa che le rende armoniose con l’intorno.
Un’Architettura dove le “imperfezioni” nella forma non sono un aspetto negativo ma una peculiarità, spesso dovuta ad una progressiva crescita nel tempo degli stessi organismi edilizi e a procedimenti costruttivi semplici ma radicati nei costruttori, non vincolati dalle attuali sterili e negativamente vincolanti normative edilizie.
Viene dunque da chiedersi se, nel secolo sicuramente più ricco sotto molti punti di vista (economico, tecnologico, sociale) rispetto a tutti i secoli passati, non ci sia qualcosa sotto questo aspetto che vada veramente ripensato profondamente.
Al di là di figure eccezionali che esistono fortunatamente anche ai nostri giorni e di validi professionisti realmente appassionati del loro lavoro (anzi, per molti è sicuramente più di un lavoro, assomiglia di più ad una “missione sociale”), quella che avrebbe dovuto essere la naturale evoluzione di questa “Architettura senza Architetti”, quell’edificazione diffusa in cui vivere nelle nostre città e nelle nostre campagne non esiste più, soppiantata da costruzioni che sono molto spesso solamente speculative.
Busto Arsizio, 29 marzo 2007 Dott. Arch. Giovanni Ferrario g.ferrario7@virgilio.it
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