Sulla riforma del Ministero dei beni culturali 21-06-2007 Bruno Ciliento
La riforma del Ministero per i Beni Culturali, approvata in prima lettura il 15 giugno dal Consiglio dei Ministri, sta già suscitando polemiche, e la cosa non stupisce. Se ne è discusso per mesi (gli unici a non essere consultati pare siano stati i soprintendenti...) e a parere di molti il risultato è assai lontano dalle aspettativi iniziali. Vorrei però soffermarmi su un aspetto specifico. Da metà anni Novanta, in settori fondamentali - struttura ministeriale, leggi di tutela, norme sui lavori pubblici e i restauri - si sono susseguite riforme e trasformazioni. Cambiamenti profondi sono stati impostati quasi a ogni avvicendamento di ministro. Disposizioni a volte vetuste, ma efficaci, sono state mutate e poi nuovamente sostituite, in maniera tale da rendere difficile l'azione degli uffici, e così pare si voglia continuare. Il governo in carica, nel programma, aveva preso impegni importanti, tra l'altro di volere rafforzare le soprintendenze. Oggi - nonostane voci in contrario - assistiamo con amarezza all'umiliazione del settore della storia dell'arte nell'organizzazione del Mibac. La direzione patrimonio storico-artistico viene accorpata con i beni architettonici, l'arte contemporanea con il paesaggio. Ai vertici ci si può aspettare una prevalenza di nomine di architetti e di amministrativi (con tutto il rispetto per le due categorie). Nel nome della semplificazione si sarebbe potuti tornare al modello iniziale del ministero, con un solo Ufficio centrale a raggruppare le competenze in tema di patrimonio: vediamo invece il sacrificio di un campo d'azione e di ricerca un tempo vanto dell'amministrazione. Le proteste, finora, sono state stranamente scarse. Purtroppo lo stesso potrebbe accadere sul territorio, se andasse avanti la ventilata creazione di soprintendenze "miste" legata alla riduzione dei dirigenti (salvo di di quelli di più alto livello), come se qualcuno pensasse che il patrimonio artistico, ad eccezione dei musei e di alcuni centri famosi, non meriti uffici dedicati - una svalutazione che striderebbe con una realtà ricca e multiforme. Non intendo in questa sede entrare nella discussione circa i compiti delle direzioni regionali e delle soprintendenze, in entrambe operano dirigenti e funzionari di grande capacità e impegno, ma certo il ruolo delle seconde resta menomato. Le direzioni regionali sono ben diverse da quelle auspicate da Giovanni Urbani, che pensava non a organismi paraministeriali, ma a servizi che affiancassero le soprintendenze per accentuarne il ruolo tecnico e scientifico. E nel quadro della razionalizzazione delle spese, servono direzioni anche nelle piccole regioni, dove magari operano una o due soprintendenze?Molti uffici non dispongono di un'auto per i sopralluoghi e non riescono a pagare le spese di pulizia e le indennità al personale, 17 dirigenti generali sono giustificati? forse ne basterebbe la metà. E non si può tacere che anche nelle scelte dei direttori il settore professionale degli storici dell'arte è stato finora pesantemente sacrificato. Si mormora che molto sia voluto per scelte spartitorie e per il desiderio di "mettere sotto controllo" le soprintendenze, o che in realtà si prepari il passaggio delle competenze delle direzioni regionali alle Regioni stesse, lasciando ai soprintendenti solo un difficile ruolo di tutela passiva (il paesaggio insegna). Non voglio credere a queste insinuazioni, spero invece che tramite Patrimoniosos quanti sperano possibile modificare talune scelte facciano sentire alta la loro voce, come altre volte accaduto con efficacia. |