Ravenna e Aquileia 23-08-2007 Ercole Noto
Dal suo osservatorio privilegiato Gianfranco Cerasoli analizza la questione di quella che dovrebbe essere la Fondazione Aquileia - di cui debbano essere ancora definiti dei passaggi chiave prima della firma dell’atto costitutivo - e lo fa sulle pagine di codesto sito web sotto il titolo “Fondazione Aquileia perché sono contrario”. L’interessante contributo riapre la questione sulle fondazioni che aspirano a sottoscrivere una convenzione con lo Stato in materia di Beni culturali. Già critico nei confronti della Fondazione Museo Egizio ora motiva le sue contrarietà per Aquileia. A breve giro di posta ‘laPadania’ il 10 agosto pubblica un ampio servizio su Aquileia e il progetto di valorizzazione del patrimonio archeologico e culturale, proponendosi, con la costituzione della fondazione, a modello da esportare in altre realtà, in primis Ravenna, che da tempo va ricercando questo ambìto riconoscimento. E la città romagnola lo fa, dopo il primo tentativo fallito, nel massimo riserbo. Solo che, se “nenti fai, nenti si sapi”, viceversa…; così, sempre su ‘laPadania’ apprendiamo da una dichiarazione del capogruppo regionale Ds Mauro Travanut, che “la città di Ravenna ha richiesto un’interlocuzione al sindaco (di Aquileia, nda) Alviano Scarel per chiedere delucidazioni circa il percorso che ha portato alla costituzione di una legge speciale (…) per superare gli inghippi iniziali”; il capoluogo romagnolo presenta infatti un patrimonio archeologico-culturale che lo accomuna, per certi versi, ad Aquileia. Aquileia e Ravenna, quindi, travolte da un insolito destino, quello di favorire, secondo un modello “federalista” della legge, “il decentramento dei poteri a beneficio della periferia (…) restituendo alla città il ruolo primario in ambito turistico e culturale”. Le fondazioni affilano orbene le armi in vista dell’arrembaggio finale, coinvolgendo, sotto la parvenza del federalismo, i cittadini (progetto di collaborazione partecipata). Una cosa che mi colpì negativamente visitando il sito degli scavi aquileiesi, fu che in alcune case dei privati, in prossimità dell’area archeologica, fra i materiali da costruzione v’erano in bella vista anche “frammenti” di rilievi decorativi di reperti archeologici. Un vezzo antico quello del reimpiego del materiale in altre costruzioni; pratica molto in voga nel passato prima dell’avvento degli scavi sistematici e documentati. Chi sa quanti reperti rinvenuti nello scavo decorano i giardini di abitazioni private! Ora, paradossalmente, uno di quei cittadini potrebbe essere chiamato a far parte del nascente Comitato come espressione concertata del Consiglio. Al di là di questi episodi isolati di manifesta ignoranza rimane indiscutibile il valore del patrimonio archeologio-culturale di Aquileia, che dalla recente visita degli esponenti di spicco di Arcus, e dalle loro dichiarazioni, occorrerà un contributo “evidente e sostanziale” “per recuperare l’acclarato valore artistico di cui il sito è permeato ma che versa in uno stato di degrado”. Forse Ravenna con la sua tradizione e conoscenza del sapere potrebbe già dare un fattivo contributo nel recupero di quel patrimonio degradato, affidando ad esempio alle maestranze che già operano nel restauro musivo di altri beni, tali interventi. Intanto sono ripresi i lavori per la realizzazione del laboratorio di restauro del mosaico antico, a “servizio - come leggiamo - della conservazione del patrimonio musivo dell’intero bacino del Mediterraneo”. Un progetto ambizioso che pone tuttavia legittimi interrogativi: quanto costano alla collettività gli interventi di restauro ai mosaici, come quelli ultimi, ad esempio, siriani; chi li paga; tutte domande che circolano nell’ambiente ravennate, di cui i mosaicisti parlano mugugnando fra i denti, tranne qualche timido segnale di insofferenza verso la politica dell’amministrazione che si registra su qualche giornaletto di associazione; un progetto perseguibile tuttavia sotto l’ala protettiva dell’Istituto per il Commercio Estero. “Complessivamente la realizzazione del museo e degli annessi laboratori, che sorgeranno nella fabbrica di un ex zuccherificio, verrà a costare 16 milioni di euro: 10 a carico dello Stato, 4,5 della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, 1,5 del Comune”. La Fondazione Cassa, nell’ambito della propria attività istituzionale ha elargito una montagna di euro per la promozione del “bilancio di missione”. Dal bilancio di esercizio 2006 emerge un incremento dell’entità complessiva degli interventi deliberati (7.127.681 euro) rispetto all’esercizio 2005 pari al (92,5%) delle risorse disponibili, di cui hanno beneficiato in particolare il settore Arte, Attività e Beni Culturali, come si legge dall’informativa della Cassa del 18 maggio scorso. Cosa è toccato allora alle categorie sociali più deboli? Forse poco. E tutto questo, in realtà, per soddisfare un progetto ambizioso di dubbia necessità. Ma non si potrà mungere la mucca per molto tempo ancora; così il novello ‘Argentario’ “ha auspicato che sui beni archeologici del ravennate si indirizzi di più l’attenzione dei corsi: che i programmi, insomma, puntino maggiormente su contenuti riguardanti Ravenna”. Viceversa, dalla Fondazione Cassa di Risparmio la città ha sicuramente apprezzato la donazione fatta all’Ospedale Santa Maria delle Croci, a cui ha donato recentemente un ecografo di ultima generazione all’Unità Operativa di Radiologia, e la strumentazione, con annessi arredi tecnici, per la nuova sala operativa endoscopica della Gastroenterologia. Intanto, se per la costituzione della fondazione ci si muove con manovre di apparato, non mancano, a mio modo di vedere, mostre di modesto spessore culturale, che in ogni caso rappresentano un dato apprezzabile e significativo per il turismo locale, tenuto conto del periodo estivo e del comprensorio di cui si parla, che si caratterizza per una diversificata offerta di attrazione imperniata sul divertimento. La frequenza di pubblico nella sede espositiva, non necessariamente è da interpretare come successo della rassegna, ma piuttosto come indice della fruizione di massa rivolta ai beni culturali, in un circuito sperimentato favorito dall’ampliarsi e dal diversificarsi della domanda, cresciuta per la disponibilità del tempo libero; con una flessione ultimamente per le risorse economiche della famiglia media sempre più penalizzata. Nella ex chiesa di san Domenico, in centro a Ravenna, si possono vedere oggi esposti alcuni mosaici provenienti dalla Siria [Mosaici d’Oriente - Tessere sulla via di Damasco], come motivo di richiamo per un turismo vacanziero; soprattutto mi sembra interessante riportare in questa occasione una analisi, estrapolata da una fonte seria, quale l’Agenzia Adnkronos-International, sul rapporto commerciale tra la Siria e il nostro Paese. “L’Italia è uno dei primi partner commerciali della Siria eppure non gode della stessa visibilità culturale e politica di cui godono altri paesi europei come Francia, Spagna e Gran Bretagna”. Lo afferma all’ADNKRONOS-INTERNATIONAL Jihad Yazigi, economista siriano direttore della rivista on-line Syria Report. “L’Italia è infatti da tempo al secondo posto, dopo la Germania, nella classifica dei paesi che detengono i maggiori scambi commerciali con Damasco, ma da noi in Siria l’immagine del vostro paese rimane ancora legata quasi esclusivamente ad una vaga idea di vicinanza socio-culturale e niente più: da noi si dice che voi, italiani, siete ‘gli arabi d’Europa’ e al di là dei nomi dei più noti calciatori italiani e di qualche famoso attore del cinema, nessuno conosce veramente quanto l’Italia sia importante per la Siria” spiega Yazigi. Secondo i dati dell’Ice, l’Italia nell’interscambio ha riconquistato la posizione di primo partner commerciale europeo della Siria. Jihad Yazigi precisa che “questa classifica non è esatta perché si basa su dati equivoci: nei registri ufficiali siriani – spiega – si indica quasi sempre l’Italia come destinatario anche se la merce, pur arrivando ad un porto italiano, è invece diretta altrove, in Germania ad esempio. Sono infatti i tedeschi i nostri primi partner commerciali e non voi italiani”. “L’Italia è comunque presente – continua Yazigi – con contratti su licenza di note ditte (…); partecipa alla fornitura e all’installazione di sistemi radar per gli aeroporti siriani”. E ancora: “fornite un determinato sostegno tecnico al nostro settore agricolo; (…) a Milano è stato aperto un ufficio di rappresentanza della Camera di Commercio siriana. Sono tutti segnali importanti a livello microeconomico (…) ma tutto questo non basta”. L’economista siriano lamenta che l’Italia non ha “grandi progetti economico-culturale”, dovuto ad una “cattiva cecità comunicativa”, una “miopia strategica” “IL centro culturale italiano di Damasco, sebbene esista da molti anni, è ancora poco conosciuto non solo rispetto ai suoi omologhi ‘giganti’ come quello francese o il British Institute, ma anche rispetto al Cervantes spagnolo e a quello danese (…) quest’ultimo sempre più attivo sulla scena culturale siriana..” “L’Italia – interviene Wassim al-Ahmar, esperto di relazioni euro-siriane – soffre di una sorta di handicap: la sua lingua e la sua cultura sono davvero poco conosciute rispetto a quella francese e quella inglese. Ma potete tentare di rilanciare la vostra politica sfruttando le nuove tendenze ‘mediterraneiste’ dell’Unione Europea, promuovendovi come ‘ponte naturale’, geografico e sociale, con i paesi arabi del Mediterraneo. In questo senso va letta quindi - conclude al-Ahmar – il sostegno di Roma alla firma definitiva dell’accordo di partenariato euro-siriano tra Damasco e Bruxelles. E’ un passo importante per il rafforzamento della vostra immagine politica nel nostro paese”. [Fonte: Adnkronos-International]. E intanto gli hanno restaurato i mosaici. Ma chi ha pagato quei lavori? |