Centralismo regionalista? La riforma del Ministero dei Beni Culturali, il ruolo delle Soprintendenze regionali e il destino delle Soprintendenze di settore 05-08-2004 Davide Gasparotto, Soprintendenza P.S.A.D. di Parma e Piacenza
Centralismo regionalista? La riforma del Ministero dei Beni Culturali, il ruolo delle Soprintendenze regionali e il destino delle Soprintendenze di settore
Non si può non ammettere che, sotto il ministero di Giuliano Urbani, l’attività legislativa e normativa in merito ai nostri beni culturali sia stata cospicua. Frutto più maturo ed evidente ne è senza dubbio il nuovo “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” (D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 41): se in diversi punti (in particolare su questioni di tutela del paesaggio e dell’ambiente) esso presenta delle ambiguità e solleva alcune perplessità, che non vogliamo qui discutere, credo che nel complesso si tratti di una buona legge, che fa salvi tutti i principi fondamentali della nostra alta tradizione di tutela del patrimonio artistico e della gloriosa 1089 del 1939 (per tanti anni pilastro del nostro sistema legislativo) e che rappresenta un indubbio avanzamento, in particolare nella definizione dei princìpi, rispetto al farraginoso e assai poco perspicuo “Testo Unico” (D. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490), approntato durante il ministero di Giovanna Melandri. Ma non è del nuovo Codice che si vuol qui parlare, quanto piuttosto di un’altra riforma promossa dal ministro Urbani, quella del nostro Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. Lgs. 8 gennaio 2004, n. 3; D.P.R. 8 giugno 2004, n. 173 contenente il regolamento), che prosegue in qualche modo un cammino già intrapreso dai ministri di centrosinistra Veltroni-Melandri. Dico subito che si tratta a mio avviso d’una via che conduce (o condurrà) ad un progressivo ma sistematico smantellamento del nostro sistema di tutela territoriale, fondato fino a questo momento sulle Soprintendenze territoriali di settore (archeologiche, architettoniche, artistiche e storiche): un sistema che presentava certo malfunzionamenti e rigidità burocratiche, sicuramente perfettibile, ma che era però in grado – se fosse stato adeguatamente potenziato, soprattutto a livello di personale con competenze specifiche, e dotato di una maggiore autonomia, soprattutto finanziaria, rispetto al centro – di rispondere adeguatamente ai bisogni del territorio, attraverso la fitta maglia degli uffici stabilitisi nella maggior parte dei casi da almeno un centinaio d’anni nei nodi vitali del paese. Paradossalmente, dunque, se si proseguirà sulla strada intrapresa, ci troveremo nei prossimi anni con un’avanzata legge di tutela cui farà riscontro un sempre maggior distacco delle Soprintendenze dai lori territori di competenza: ciò in contrasto con l’ottica apparentemente “regionalista” e “federalista” con cui è stata approntata la riforma del Ministero, che ha visto come suo elemento di maggiore novità la creazione delle “Soprintendenze regionali” (già al tempo della Melandri), che ora vengono ulteriormente potenziate dalla riforma Urbani, trasformandosi addirittura in “Direzioni generali regionali”. Le linea è a mio parere chiarissima: per accontentare i fautori di un malinteso “federalismo” si creano dal nulla le “Soprintendenze regionali” (con sede nel capoluogo), uffici di carattere meramente politico-burocratico (io dico sostanzialmente dei “passacarte”), con una fumoso ruolo di coordinamento dell’attività di tutte le Soprintendenze di settore di una determinata regione. La formazione di tali uffici comporta un aumento dei dirigenti (con stipendi cospicui) e, d’altra parte, dovendo contenere le spese, un prelievo di personale tecnico dalle Soprintendenze di settore già attive sul territorio (ovviamente nessun nuovo concorso è stato bandito con la creazione dei nuovi uffici) e già di per sé povere di organico. In questo modo, sempre più carenti sotto il profilo delle figure tecniche, le Soprintendenze di settore diventano sempre più “inefficienti” (forse proprio quello che si voleva) e vengono per di più sottoposte ad un assurdo pressing “burocratico”: sì, perché infatti ora, per fare un solo esempio, la programmazione economica annuale dei restauri viene inviata prima al Soprintendente Regionale, che ha la facoltà di intervenirvi (e, nel caso che questi sia un amministrativo, immaginate un po’ con quale competenza e conoscenza delle reali urgenze del territorio), per poi essere inviata a Roma per la definitiva approvazione. Un doppio passaggio assolutamente inutile, insomma, una macchina che si fa sempre più burocratica ed elefantiaca, invece di snellirsi ed acquistare autonomia vera a livello locale, il tutto a discapito di una reale operatività, basata sulla profonda conoscenza del territorio e dei beni in esso custoditi. Quale dunque, coerentemente con questo assunto, il passo successivo? Quello ad evidenza compiuto con la riforma Urbani, che accresce ulteriormente le mansioni e le competenze delle “Soprintendenze regionali”, trasformate in “Direzioni generali regionali”, con un Direttore generale il cui stipendio è naturalmente equiparato a quello dei dirigenti centrali. In queste settimane estive il personale dell’amministrazione si chiede con sempre maggiore preoccupazione quale sarà la sorte delle Soprintendenze di settore, perché si sa che quest’autunno ci saranno delle novità. Accanto a insistenti voci di “soppressioni” o, nella migliore delle ipotesi, di “accorpamenti” tra uffici, quelle che hanno maggiore spazio riguardano il destino della figura stessa del Soprintendente: gli uffici pare infatti che non spariranno (troppe sarebbero le polemiche e troppo il polverone sollevato da una tale drastica decisione, soprattutto a livello sindacale), ma a sparire saranno proprio loro, i Soprintendenti come dirigenti, personalità autorevoli culturalmente e scientificamente, progressivamente sostituiti da funzionari di Area C3 (ex IX livello), più docili esecutori delle volontà del Soprintendente regionale. Del resto, come farebbe il Ministero a mantenere, dico economicamente, una tale pletora di Dirigenti (Direttori Generali a Roma, Direttori generali regionali e Soprintendenti di settore)? Dunque, anche se sicuramente in maniera progressiva e non d’un botto, a sparire saranno proprio i Soprintendenti di settore. Quando Giovanni Spadolini creò il Ministero, nel 1975, molte voci si levarono polemiche, preoccupate dalla “burocratizzazione” e dalla “politicizzazione” cui sarebbe andata incontro la gloriosa “Direzione generale Antichità e Belle Arti”, allora associata come struttura tecnica al Ministero della Pubblica Istruzione, trasformata in un Ministero autonomo. Il cerchio ora, a trent’anni di distanza, sembra chiudersi, proprio in questo senso deteriore. Credo oltretutto si tratti anche di una vittoria di Pirro del federalismo: a fronte della possibilità di disporre, infatti, capillarmente diffusi sul territorio, di uffici di tutela più autonomi, efficienti, capaci di offrire una sponda solida e tecnicamente agguerrita alle amministrazioni locali (comuni e province) e alle Curie (e questi uffici già esistevano, era sufficiente potenziarli), si è scelto di creare ex-novo una struttura “centralizzata” a livello regionale, che risponde a criteri meramente politico-burocratici, senza nessun aggancio reale e concreto con la realtà dei diversi territori della Regione. Lo dico con amarezza, con la coscienza di chi con umiltà ed entusiasmo si dedica da diversi anni alla cura di una provincia, ma sembra veramente avviata verso un inglorioso tramonto la stagione dei sopralluoghi sul campo e della conoscenza capillare del territorio, che è poi quella - a mio avviso - della tutela vera, che sola può produrre risultati di autentica valorizzazione del nostro immenso patrimonio artistico.
DAVIDE GASPAROTTO Soprintendenza P.S.A.D. di Parma e Piacenza
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