Scempio ambientale a Collevecchio: un ecomostro sta per nascere nelle dolci campagne sabine e su un sito archeologico! 01-10-2007 Luca Bellincioni
Ho appreso dal sito di LegambienteBassaSabina che presso Collevecchio (RI) si sta compiendo l’ennesimo scempio ai danni del paesaggio laziale, e sabino in particolare. In località Grappignano, ove sono presenti rovine d’epoca romana e medioevale, nonché resti del Paleolitico, sono stati effettuati vistosi sbancamenti che hanno danneggiato queste stesse antiche strutture, le quali dovrebbero essere sottoposte a vincolo archeologico e paesaggistico, per dare inizio ai lavori per la creazione di un vero e proprio eco-mostro: si tratta del progetto denominato l’"isola del possibile", definita anche dai suoi sostenitori la “città ideale", una struttura ospedaliera gigantesca, di circa 640 mila metri cubi, che dovrebbe sorgere in pieno sito archeologico, peraltro con un impatto paesaggistico mostruoso sul delicato paesaggio della Sabina tiberina (già provato da troppe edificazioni sparse seguite ai vari condoni). La progettata struttura è stata ovviamente salutata con grande entusiasmo dal sindaco di Collevecchio, secondo un atteggiamento ormai comune a quasi tutti gli amministratori locali, prontissimi a svendere il proprio territorio a folli progetti impattanti con la solita scusa dei posti di lavoro. Una mentalità ancora da Dopoguerra, insomma, che contrasta violentemente con la vocazione di Collevecchio e di tutto il resto della Sabina, notoriamente turistica, grazie proprio alla bellezza del paesaggio, residuo di una cultura agro-pastorale di matrice addirittura medievale, a tratti perfettamente conservata e quindi di straordinaria importanza e da tutelare assolutamente. In questa sede non è infatti in dubbio l’importanza di nuove strutture ospedaliere, bensì la loro localizzazione, ciò che spesso pare rispondere a meri ed evidente interessi speculativi piuttosto che di sana gestione del territorio. Infatti sempre più assistiamo a casi in cui nuove strutture ospedaliere vengono proposte e collocate in zone di grande valenza paesaggistico-ambientale (se non, come in questo caso, anche archeologica) come a voler creare “teste di ponte” per urbanizzazioni future, che inevitabilmente seguono. E di questo fenomeno generale si è ancora discusso troppo poco proprio perché i progetti di tipo sanitario sembrano sempre “indiscutibili” anche quando palesemente assurdi, e ciò per motivi di tipo morale e sociale. E di questa morale diffusa gli speculatori sanno approfittare bene. Nel caso di Collevecchio, d’altro canto, sono fin troppi i motivi di dubbio sulla realizzazione di un’opera così impattante: in primo luogo il paesaggio ben conservato, la bassa densità di popolazione e la vocazione turistica, che sono in aperto contrasto con un’opera del genere; in secondo luogo la scelta del sito specifico, di tipo archeologico, e quindi teoricamente inedificabile; in terzo luogo la sproporzionalità stessa della struttura ospedaliera in questione (gigantesca), che sarebbe indicata non certo per un paese di campagna ma per una cittadina di medie o grandi dimensioni, già con strutture produttive e residenziali ben delineate (ad esempio le non lontane Rieti o Terni), anche a livello di localizzazione, al fine non solo di limitare l’impatto ambientale ma anche di rendere la stessa struttura ospedaliera più fruibile e senz’altro più utile; in ultima analisi, il danno economico che riceverebbero le numerose aziende ricettive (agriturismo e b&b in primis) presenti sul territorio, che basano la loro stessa esistenza proprio sulla qualità del territorio in cui sono situate. Ripeto: questo progetto puzza tanto dell’attuale fenomeno cancrenoso per cui i piccoli comuni scelgono di svendere il proprio territorio alle grandi opere, ciò che nel compresso provoca un’erosione del territorio fortissima con danni irreparabili di tipo ambientale, turistico e culturale. Un’erosione che, in tempi in cui in paesaggio agricolo e naturale pare ridursi sempre più a miseri brandelli, non possiamo affatto permetterci.
|