SalvalarteSicilia2007. Castelluccio, Grotta dei Santi 13-11-2007 Ercole Noto
La civiltà detta di Castelluccio, che si estese dalla zona etnea fino al Gelese, al Caltagironese e all’Agrigentino, è da considerare sicuramente una delle pagine più importanti della storia della Sicilia orientale. Percorrendo tutta la vallata dell’Eloro, interessata dal fiume Tellaro, si raggiunge a 465 m. di altitudine il monte Finocchito. Su questo monte viveva un tempo una popolazione di genti (prima sicani, poi siculi) che avevano abbandonato le pianure e le zone costiere, per siti più facilmente difendibili, il cui sistema economico produttivo appare sostanzialmente “autosufficiente”(Voza), “chiuso al mondo esterno e intento a una vivace attività produttiva all’interno di vari insediamenti”, riconducibile allo sfruttamento del territorio, con un’economia basata essenzialmente sulle risorse agricole, sulla pastorizia, sull’allevamento del bestiame, integrata da varie attività artigianali e ‘industriali’ , che per l’appunto viene definita civiltà castellucciana. Successivamente, all’incirca a partire dal XVI sec. a.C., vengono a farsi più concrete le testimonianze dei rapporti di scambio tra le comunità indigene col mondo greco e con altre culture coeve del bacino del Mediterraneo. L’affinità col mondo egeo è possibile individuare non soltanto nel confronto con le opere di fortificazione, ma sicuramente nella ceramica, per forma, tecniche e motivi di decorazione. Ancora più evidenti sono le connessioni quando l’archeologia prende in considerazione altri tipi di manufatti, come quelli prodotti e diffusi ampiamente in area intermediterranea e rinvenuti in numerosi siti della Sicilia castellucciana, che dimostrano gli intensi rapporti che si intrecciano fra le diverse popolazioni per esigenze economiche e commerciali, quasi certamente favoriti dall’attività della navigazione. Il rapporto col mondo greco, nei decenni precedenti la fondazione delle prime colonie (tra la metà dell’VIII secolo e il 740 a.C.), sulla costa ionica siciliana, non fu quindi un fatto episodico, ma il risultato di una continua e sistematica presenza, che portò a un consistente interscambio di prodotti e conoscenze - [come dimostrano l’architettura funeraria e la cultura materiale: alcune forme dei vasi, la tipologia dei bronzi, la planimetria e le caratteristiche costruttive del noto anaktoron (palazzo del principe)] - che della fascia subcostiera della Sicilia orientale, attraverso le vallate fluviali, dell’Asinaro, del Cassibile, dell’Anapo, porta a diretto contatto le popolazioni straniere con le comunità indigene dell’interno, aventi il loro epicentro nel massiccio di Pantalica [da Giuseppe Voza, “I contatti precoloniali col mondo greco”, in Sikanie; un contributo interessante sulla Sicilia antica; peccato che l’ex soprinte ndente regionale di Siracusa, stimato archeologo - che ho conosciuto da giovane, quando per studi inerenti la mia formazione frequentavo quell’istituto nell’isola di Ortigia, le cui finestre aggettavano sul porto grande della marina – non abbia profuso lo stesso impegno, che ha dimostrato come valente studioso del mondo antico, per la valorizzazione in tempi congrui della Villa del Tellaro, di cui ancora oggi non sono visibili i mosaici]. A Castelluccio, la stratigrafia della storia scandisce i suoi molteplici aspetti nel riflesso d’ogni tempo: dal periodo preistorico al bizantino, dal medioevale al moderno. Della cultura bizantina la testimonianza più interessante è senz’altro la Grotta dei Santi. Un ipogeo molto ampio scavato nella roccia, nelle cui pareti e in un grande pilastro centrale, io ricordo –intorno ai primi anni 60 – d’aver visto numerose pitture bizantine a tinte forti, già all'epoca molto vandalizzate da incisioni e graffiti. L’antro era utilizzato come riparo notturno per gli animali da pascolo. Gaetano Passarello, che ne lasciò traccia nella sua “Guida della città di Noto”, 1962, riferisce di un “discreto stato di conservazione” dei dipinti. Non sappiamo esattamente a cosa lui alludesse; se al supporto parietale, integro e ben ancorato alla roccia, o alla resa cromatica dei pigmenti; sicuramente oggi l'incuria e gli agenti atmosferici e naturali, avranno ulteriormente rovinato le pitture, rendendo forse ancor più sommaria e difficile la loro descrizione. Quella che non è sbiadita è sicuramente la volontà e l’interesse manifestato dai volontari delle varie associazioni, che in occasione della iniziativa nazionale “SalvalarteSicilia 2007 ” (sabato10 e domenica11 novembre), presso il sito archeologico del “Castelluccio”, facente parte del territorio di Noto, si sono prefissi l’obiettivo di liberare il sentiero, una antica Regia Trazzera che conduce alla Grotta dei Santi, ed all’interno dell’area del villaggio preistorico, sistemare l’accesso ad una delle tombe più rappresentative della Necropoli del Castelluccio ed, infine, apporre la segnaletica per il Castello medievale che domina l’area, costruito nel 1356. “In tale iniziativa sociale, coordinata dalla Direzione dei Beni Archeologici della Soprintendenza di Siracusa, unitamente alle associazioni Legambiente Noto, Club Val di Noto, Amministrazione dei Servizi Sociali del Comune di Noto, Cittadini volontari, si è inserita – stando al comunicato - l’Amministrazione Penitenziaria della Direzione della Casa di Reclusione di Noto e la Magistratura di Sorveglianza di Siracusa, la quale ha autorizzato quattro Detenuti della Casa di Reclusione di Noto, a fruire di Permessi Speciali ai sensi dell’articolo 30 co. 2 dell’Ordinamento Penitenziario, che prevede la concessione di Permessi Speciali per particolari eventi nel sociale. Tale impiego di detenuti per utilità nel sociale, è il frutto del protocollo d’intesa tra il DAP ed il mondo del volontariato del settore ambientale, regionale, comunale e provinciale. I detenuti per i quali si apriranno le porte del carcere, sono stati preparati con dei corsi sul recupero del patrimonio ambientale, e gli stessi sono stati scelti per il loro comportamento intramurario, per il breve fine pena. Il progetto ha visto coinvolta l’Area Trattamentale ed il Corpo di Polizia Penitenziaria che hanno collaborato per la buon a riuscita dell’iniziativa. Il carcere, non solo inteso quindi come luogo di custodia dove scontare la pena, ma luogo preposto al reinserimento futuro del detenuto nella società libera. L’osservazione, il trattamento, la legge Gozzini, norme che mirano alla riabilitazione del condannato; un percorso difficile e laborioso, che viene svolto dalla Polizia Penitenziaria e dall’equipe di osservazione all’interno delle mura dell’istituto. In questo caso il sociale, come volano per ben 4 detenuti a cui viene offerta l’occasione di fruire per la prima volta di tali benefici, un impegno nel sociale che li condurrà fuori dalle mura del carcere, per avviarli ad un riscatto, ben motivati per un futuro reinserimento degli stessi nella vita sociale”.
[La notizia è ripresa dal sito online ‘La Gazzetta di Noto’].
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