OLTRE GLI INCERTI CONFINI . Una riflessione sul territorio urbano di Palermo 29-11-2007 Leandro Janni
Caltanissetta - SICILIA, 28 Novembre 2007
Nella Palermo a noi contemporanea i muri opachi e i grigi, anonimi edifici - tra i residui spazi aperti - pesano molto. La nostra "percezione" del mondo - comunque - sta cambiando, nonostante i muri opachi, i grigi, anonimi edifici e la loro insignificante, ottusa pesantezza.
Nella città antica le mura rappresentavano il principio femminile protettivo, che racchiude, che accoglie. Le mura, simbolo della soglia - del "limite" - segnavano il passaggio dallo spazio esterno (profano e imperscrutabile), allo spazio interno (sacro e accogliente, familiare). Le mura - il recinto, la soglia - costituiscono uno dei simboli, degli archetipi dell'architettura.
Nella città attuale lo spazio viene utilizzato in termini economici di efficienza e profitto, secondo una prassi urbanistica decisionale, espressione di un nomos, di un sapere/potere, che opera per conto di interessi sostanzialmente speculativi, omologando il territorio e la sua organizzazione, cancellando le caratteristiche di identità, di complessità, di omeostasi.
Il vasto territorio urbano di Palermo è fortemente caratterizzato da un'edilizia senza forma e senza qualità, che ha persino cancellato luoghi e confini originari, realizzando metri cubi su metro quadro di anonime, indifferenti costruzioni. Una sorta di scacchiera - confusa, dispersa e indefinita. Non pensata, non immaginata. Un inevitabile, pervasivo "dappertutto".
Eppure, in questo "spazio alienato" noi viviamo quotidianamente, come radicati nell'assenza di luogo, come stranieri. Questo spazio dell'atopia, de-situato, surreale ed astratto, anonimo ed infinito, a differenza della città antica - definita, murata, compatta - accoglie dentro di sé il "limite", che dunque non passa più al suo esterno come una linea di difesa, di frontiera, ma l'attraversa, si situa al suo interno.
La città moderna, contemporanea è uno spazio, una condizione dell'atopia che, proprio per questo suo carattere straniante - in cui ci si smarrisce e insieme ci si ritrova - può essere percepito come una sorta di labirinto. In alcuni casi, situazioni particolari, speciali, in cui lo schematismo geometrico si indebolisce, si frantuma, in cui il labirinto diventa "altro" - spazio polemico, erotico, ibrido, luogo del possibile - la città può essere percepita, letta, come una sorta di arabesco (la Palermo della valle dell'Oreto, il parco della Favorita, gli orti e i giardini storici, monte Pellegrino, capo Gallo, parco d'Orleans, Ciaculli, l'area di Brancaccio-Maredolce).
Nell'arabesco è realizzabile una diversa esperienza delle cose: figura in cui prevale l'armonia dell'insieme sul particolare, il colore sul segno, sul simbolo; esso può diventare il luogo dell'inclusione, della possibilità, della convivenza; lo spazio che protegge con le sue volute, con le sue geometrie indefinite ed aperte, dalla legge del nomos, autoritario ed esclusivo.
Il "limite", dunque, come spazio intermedio, ci permette di cogliere la cosa - le cose tangibili, misurabili - come una tensione, come una costellazione di eventi; ci conduce verso un pensiero narrativo che apre a nuove, inesplorate possibilità. L'altro, allora, non è più l'estraneo fuori dai nostri limiti, dai nostri sempre più deboli confini, ma costituisce la nostra stessa soggettività, identità, proponendosi nell'arabesco, in cui coesistono tutte le differenze: non omologate o escluse, ma rese più forti e significative dal loro contatto, dal loro interagire.
Dopo più di cinquant'anni di leggi urbanistiche di ispirazione "forte", autoritaria, prescrizioni, negazioni, divieti, conservatorismi che, troppo spesso hanno alimentato - soprattutto nel Meridione, in Sicilia - rifiuti, esclusioni, emarginazione sociale, diffuse, pervicaci forme di illegalità, l'arabesco può rappresentare un modello culturale, spaziale, esistenziale alternativo; "debole", ma proprio per questo, autorevole e condiviso.
Negando le forme geometriche forti, chiuse, meccaniche della scacchiera contemporanea, superando il "disagio della civiltà", la perversione, l'ossessione dello spazio e del tempo moderno, rinunciando ad essere icona della legge, l'arabesco, ricerca un "ordine altro": più organico, più complesso, più consapevole. L'arabesco come possibile, sorprendente, nuovo linguaggio, scrittura, narrazione. L'arabesco come rete organica territoriale e non come sistema urbano generalizzato, confuso, omologato. L'arabesco come paradigma della nuova urbanistica meridiana, mediterranea.
Lo spazio fisico ed esistenziale della città contemporanea, della Palermo contemporanea, attraverso l'arabesco, quindi, può essere letto, sperimentato, vissuto, come ambiente fluttuante, policentrico, pluralista; multifunzionale e multidirezionale. Tessuto ibrido e significativo, inclusivo ed aperto. Nuova, possibile dimensione etica e politica.
Tradurre tutto questo in progetto, se non in legge, norma, regola (democratica e condivisa), è la sfida complessa e stimolante che, come cittadini, tecnici, legislatori, forse possiamo raccogliere prima che sia troppo tardi.
Leandro Janni
Presidente Italia Nostra Sicilia
Italia Nostra CR Sicilia - Uffici: viale Conte Testasecca, 44 93100 Cal
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