Donna e costruttivista 01-02-2008 Francesco Floccia
Nuovo Ministro, per un nuovo Governo, “equlibrato e donna”: così scrive che lo vorrebbe E. Noto nella email del 30/1/2008.Va bene l’opportunità che possa essere donna ma che non sia “equilibrato”: che sia invece di parte, di minoranza, “costruttivista”. Quel bel saggio di Karel Teige, "Arte e ideologia,1922-1933", Einaudi 1982, a leggerlo oggi alla luce delle tante ricorrenti crisi sociali che investono l’Italia nel suo complesso di popolo e classe dirigente può darci una prospettiva: “I costruttivisti non presentano progetti di una nuova arte ma piani di un mondo nuovo, il programma di una nuova vita. Non realizzano delle teorie estetiche ma creano un mondo nuovo”; né avvolgono l’arte “con fumi di incenso” [1925]. Aboliscono cioè ogni aspetto simbolico, eterno, dogmatico, universale sicché “in luogo del formalismo artistico l’epoca costruttivista pone il “ funzionalismo”, antitesi di “ogni nobiltà sacrale e cultica”, di ogni “feticismo estetico” dell’Arte. Il pubblico di quell’arte era il “proletariato” e a esso correlato era il concetto di arte come “lavoro dell’uomo”. Nessuna categoria astratta dunque di “intuizione” né di “ispirazione” tant’è che “le muse dell’artista non sono in alcun modo più divine delle muse dell’ingegneria o della storia e nemmeno delle muse della falegnameria”. Che cosa vuol significare allora oggi tutto questo? Che forse è inutile continuare a parlare del patrimonio artistico nell’accezione concettuale di ”bene culturale” volendo così perseverare nella illusione che l’opera d’arte nel suo complesso vada idealizzata e rispettata ben oltre di quanto materialmente essa è. La società dell’oggi non è più diversa da come descriveva il Teige il popolo del 1922: “ ;..romanzi sentimentali, films a puntate americani,..i giocolieri dei varietà, i cantanti girovaghi, le feste popolari, l’incontro domenicale di football..ecco in un elenco quasi completo ciò di cui vive culturalmente il proletariato nella sua stragrande maggioranza”. Costruttivismo stava a significare agire e modificare, creare e intervenire, operare e trasformare, lavorare a regola d’arte per fare bene e non per ‘fare Arte’. Dunque nella prossima tornata di Governo ben venga - o resti l’attuale titolare, doveroso auspicio - un Ministro per i Beni culturali che indirizzi l’Amministrazione a correggere la sensibilità dell’opinione pubblica nei riguardi degli oggetti d’arte, a rendere meno idealistico il rapporto dell’opinione pubblica con l’astratto valore aggiunto che le “cose d’arte” sembrano possedere, a rendere prosaico, modernamente ‘proletario’, “depsicologizzato” ;, “demisticizzato” il rispetto per tutto il patrimonio artistico e culturale italiano. Nell’attuale società ove temi, argomenti, realtà di qualunque natura e gravità diventano beni e occasioni di consumo e solo in quanto tali conosciuti, rispettati, apprezzati, ricercati, togliamo al bene culturale ogni parvenza di idealità e riconosciamogli – costruttivisticamente – la qualità di prodotto di lavoro dell’uomo rendendolo così meno desiderabile, esclusivo e perciò più facilmente e istintivamente comprensibile. Non si ricerchi il costante gradimento e consenso in ogni circostanza che vede l’arte didatticamente esposta al Pubblico ma si operi col semplice, ottocentesco (all’epoca rivoluzionario) principio che “la produzione intellettuale si trasforma [e va pari passo] assieme a quella materiale”: in sostanza il lavoro concreto di ciascuno, e non il teorizzarlo, produce cultura, esempio, progresso delle idee. Bene invec e per un futuro (e sempre eventuale) Ministro donna: Freud le preferiva a interlocutori uomini apprezzandole particolarmente nel campo professionale. Grazie sempre per l’attenzione.
1/2/2008 Francesco Floccia |