TURISMO, GUARDIAMO AVANTI E NON PIU’ IN ALTO 07-04-2008 Antonio V. Gelormini*
A dire il vero i dibattiti sui separatismi, le autonomie, le annessioni o i secessionismi odierni di casa nostra mi appassionano poco o niente affatto. Soprattutto quando sono relativi a realtà e ambiti territoriali storicamente inesistenti come la Padania, il Fronte Veneto, la virtuale Moldaunia e via cantando. Ho la sensazione che le motivazioni movimentiste siano sempre dettate o da un egoistico deficit di spirito solidale o dalla ricerca dell’ennesimo alibi per non rimboccarsi le maniche, per riporre le proprie speranze passive nel primo treno che passa (non importa dove va), per affidare il proprio futuro alla sorte di chi dà l’impressione di essere stato più fortunato. Non mi convince la rincorsa, accentuatasi da qualche tempo, di comuni che vogliono cambiare provincia, di province che si moltiplicano senza motivo, se non quello di allargare il consenso clientelare elettorale, facendo impennare la spesa pubblica improduttiva. Di comunità montane, sorte come funghi, fino a bordo mare, che promuovono la spigola allevata e la mazzancolla selezionata. Quando alcune, poi per esempio, devono ancora capire se si trovano nel Subappennino o nel Preappennino. Da uomo del Sud, in particolare, mi incuriosisce il constatare che ogni richiesta di separazione, e successiva nuova annessione, abbia sempre lo sguardo rivolto verso Nord. Fateci caso, mai che qualcuno abbia auspicato di far fronte comune con chi sta di sotto. Sempre e solo con quelli di sopra. Con lo sguardo pervicacemente rivolto sempre all’insù. E prima o poi il rischio di inciampare diventa quasi certezza. Il riscatto del Sud passa attraverso la riqualificazione delle sue soggettività, quali tonalità dello stesso quadro, sonorità dello stesso motivo, organi dello stesso corpo (a sua volta organo di un corpo ancora più grande), declinazioni della stessa bellezza. Il Sud ha bisogno di consapevolezza dei suoi ambiti territoriali, da promuovere per macro aree e non per quartieri parrocchiali. Le strade del latte, tracciate nel tempo dagli esodi stagionali della transumanza, sono la rete connettiva appenninica che tiene insieme Abruzzo, Molise e Puglia. I filari di viti che si intrecciano tra le cruste e i dorsali delle loro colline, danno vita ad ambasciatori autoctoni senza feluca, con blasoni e credenziali altisonanti come: Montepulciano, Nero di Troia, Primitivo e Negroamaro. Parchi, castelli, cattedrali e santuari, con masserie, frantoi, mulini, grotte, trulli e gravine costituiscono la potenza di fuoco di un entroterra, che farebbe la fortuna di un’offerta balneare senza eguali. Se solo, anziché azzuffarsi sui pochi turisti che arrivano, e disperdersi in aride promozioni di campanile, ci si organizzasse per vendere e rendere più appetibile l’intera costa adriatica meridionale, e la meno conosciuta costiera ionica, ai mercati dei flussi più consistenti. Va in questa direzione l’azione dell’Assessorato al Turismo pugliese, con l’imminente varo delle norme quadro per la nascita dei Sistemi Turistici Locali (territoriali e di prodotto). L’evoluzione nel contesto interregionale non potrà che dare forza e nuove prospettive alla volontà di andare ben oltre le misere aspettative quotidiane di regioni in cerca di riscatto. E’ tempo di abituarsi a lanciare lo sguardo non più in alto, ma più in avanti. Più in profondità. Verso orizzonti decisamente più affascinanti e dai contorni allettanti più gratificanti.
(gelormini@katamail.com) * Analista Turismo |