Area Quaroni: una finestra sul centro storico 12-06-2008 Giuseppe Scuderi
La volontà della Curia di Palermo di porre in vendita l’area già della Chiesa di Santa Croce, più nota come “area Quaroni”, dovrebbe indurre ad un immediato confronto l’opinione pubblica cittadina con ogni soggetto che possa, in questa vicenda essere coinvolto: la Curia, proprietaria dell’area, il Comune, primo attore e garante “per legge” di ogni provvedimento che riguardi l’edilizia cittadina, gli enti di tutela, Soprintendenza ai beni culturtali in primis. Credo di interpretare il pensiero di tanti dicendo che “richiudere” con una costruzione, seppur la più bella, lo squarcio aperto dai bombardamenti prima e dalla incuria poi sarebbe oggi un ulteriore aggravamento delle condizioni di vivibilità del Centro Storico. Una delle strade più inquinate di Palermo da questa “finestra” beneficia quantomeno di un aumento della ventilazione, l’esposizione è perfetta (il sole illumina, attraverso appunto la “finestra”, Via Maqueda da mezzogiorno al tramonto), l’idea che la quotidianità già di fatto concretizza è quella di una “porta” che faccia accedere, nel verde e nell’ordine ovviamente, al mercato di Sant’Agostino, al Piano di Sant’Onofrio e poi al Monte di Pietà e al Capo. Lasciamo che entri il sole in Via Maqueda. Da Repubblica, giugno 2007. Il Teatro del Palermo nel grigio dell’area Quaroni. Lucio Forte Finalmente un progetto per l’area Quaroni. Per quell’ettaro di terra grigio come i suoi topi e che è delimitato da via Sant’Agostino e dalla Discesa dei Giovenchi, con un largo fronte non meno desolante su via Maqueda. Dove, da qualche giorno, un gran telone della Boa Visions attesta provocatoriamente la possibilità che le immondizie e i rovi retrostanti possano almeno cambiar nome. Un nome che non rende giustizia alla fama di una delle figure più illustri dell’architettura italiana. Appunto Ludovico Quaroni che oltre vent’anni fa - per quel terreno di proprietà della Curia e nel quale si alzò la forse quattrocentesca Chiesa di Santa Croce - progettò ben altro futuro. Iniziativa della quale i giornali dettero ampia notizia pubblicando anche le foto del prospetto di un maestoso edificio che avrebbe dovuto aprire su via Maqueda un monumentale ingresso e due porte minori, non meno belle ed eleganti, che avrebbero dovuto condurre al piano nobile e ad un secondo piano rimasti entrambi reali solo sulla carta. Mentre ora, sullo stesso argomento, possiamo solo ricordare che le relative planimetrie approdarono a Sala delle Lapidi nel lontano dicembre del 1986. Qualche giorno prima di Natale, in un’aula attraversata dai dissidi che dilaniavano la giunta e che in quel lontano pomeriggio fu peraltro abbandonata da gran parte dei suoi componenti proprio pochi minuti dopo la presentazione del progetto Quaroni. Dalle cronache del tempo sappiamo anche che quel pomeriggio sull’argomento riuscì a dire qualche parola solo Alberto Mangano, di Democrazia Proletaria, il quale fece testualmente notare che l’intera operazione era “una autentica speculazione edilizia”. E ciò perché, sempre secondo il medesimo consigliere, il gran palazzo che doveva nascere era stato progettato in base ad una valore di edificabilità di nove metri cubi per ogni metro quadrato di contro ai cinque metri cubi consentiti. Ovvio che adesso non sappiamo dire se ciò fosse o meno vero, anche se non abbiamo alcun motivo per dubitare della veridicità dell’obiezione. Quello che ci permettiamo di pensare, in ogni caso, riguarda il fatto che, se così fosse stato, il colpevole dell’errore non dovrebbe certo essere stato l’illustre architetto. Tanto maldestramente informato da quanti, circa l’edificabilità dell’edificio, dovevano avere fornito dati che apparentemente autorevoli dovevano essere sicuramente errati. Mentre ora non resta che notare come stia cadendo nuovamente nel vuoto il messaggio di rinascita implicito nell’ostinato rifiorire del pesco selvatico che dietro al nuovo manifesto della Boa Vision attesta - primavera dopo primavera - quanto possa restare definitivo il provvisorio di questa città. |