Al Congresso Mondiale d'Architettura di Torino si impone l'ecologia 16-07-2008 Leandro Janni
11 Luglio 2008
Si è concluso, a Torino, il XXIII Congresso Mondiale d'Architettura. Grande soddisfazione, da parte degli organizzatori, per i contenuti emersi nelle giornate di lavoro e per la notevole partecipazione di pubblico: oltre 10.140 iscritti, di cui la metà stranieri, provenienti in particolare da Brasile, Colombia, Giappone, Nigeria, Cina e India. Il manifesto conclusivo ha una forte impronta ecologista. Nel documento sono sintetizzati i problemi dell'architettura di oggi e le principali sfide di domani: "Per un nuovo modello di sviluppo che si riconcili con la natura e la tuteli in una nuova alleanza; per una società post consumistica che rimetta al centro dell'attenzione i valori primari dell'umanità. Per ridefinire i contorni della modernità affinché ristabilisca l'armonia con i cicli della natura. Per un'architettura che si faccia interprete della natura, che difenda e valorizzi la biodiversità declinata a tutti i livelli: estetica, etica e politica". Questo, in sintesi, l'impegno futuro del mondo dell'architettura nell'incipit del Manifesto di Torino, in cui è sintetizzato il lavoro di questo congresso. "Perché gli architetti si fanno carico di queste problematiche? - recita ancora il Manifesto - Perché questa professione è profondamente connessa ai processi di trasformazione del territorio e il loro ruolo, assieme ad altre figure, può essere decisivo nella regìa di una complessità di saperi da mettere in gioco. E perché nessuno deve delegare le proprie responsabilità". Come dice Barry Commoner, "Se si deve fare pace con il Pianeta, siamo noi a doverla fare". Tra le dichiarazioni conclusive, quella di Raffaele Sirica, presidente del Consiglio nazionale degli architetti pianificatori paesaggisti e conservatori italiani, è particolarmente significativa per le sue implicazioni ambientali: "L'architettura dell'era elettronica - ha affermato - deve contribuire a neutralizzare le patologie delle grandi aree urbane, andare oltre i linguaggi, sia accademici che sperimentali, ormai in fase involutiva, che ignorano la crisi ambientale e sociale. Ciò può avvenire solo attraverso un processo, quello della "Democrazia urbana per la qualità", ovvero attraverso consultazioni nelle comunità e l'intreccio virtuoso tra architettura sostenibile e urbanistica, per realizzare trasformazioni condivise".
Cos'altro dire? Noi cosiddetti "ambientalisti", ovviamente, non possiamo che essere soddisfatti degli esiti del congresso di Torino. Una volta tanto.
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