E’ possibile far convivere il Supermanager con le Soprintendenze? 20-11-2008 Francesco Amodei*
Alcuni giorni fa ho manifestato pubblicamente le mie perplessità sulla nomina di Mario Resca a Supermanager dei beni culturali italiani. Le voci “contro” la decisione del ministro Bondi si moltiplicano e persino sulla rete vi sono già delle liste per la proscrizione.
Oggi su Repubblica, Salvatore Settis, con la sua solita splendida chiarezza, chiede pubblicamente a Bondi di ripensarci e di ascoltare il Consiglio Superiore dei Beni Culturali. Vi è quindi una generale rivolta che porterà, a mio parere e come di prassi, ai soliti “tarallucci e vino”, una via di mezzo nell’attesa infinita di un “demiurgo” in grado di risolvere tutti i problemi dei beni culturali.
Ma i problemi oggi restano; e sono gravi e diffusi su tutto il territorio nazionale. Personalmente ritengo che la figura di un Supermanager con competenze per la valorizzazione sia da promuovere e mantenere, non fosse altro che come mediatore di cento e mille politiche frammentarie locali. Ma la conservazione e il restauro, la difesa sul territorio, abbisognano di un supporto determinante che può essere costituito solo dai funzionari ed esperti delle Soprintendenze e dei Poli Museali, che sono rimasti gli unici a raccordare le risorse per salvare i beni culturali, materiali e immateriali, dei piccoli comuni italiani, dove non ci sono né i Raffaello nè i Michelangelo, ma dove vanno in rovina innumerevoli opere di artisti meno famosi, opere che meritano grande rispetto perché sono il frutto del sacrificio e della creatività delle nostre comunità.
Ben venga quindi il Supermanager, anche se non sarà invidiato da nessuno, dovendo egli operare in uno scenario dove la presenza delle Regioni, ormai depositarie della valorizzazione dei beni culturali, rappresenterà un ostacolo insormontabile.
Ma il ministro Bondi è troppo intelligente per non capire che le Soprintendenze devono essere potenziate, e di molto, se non vogliamo veramente arrivare allo sfascio e farci ridere dietro dalle prossime dieci generazioni.
Dobbiamo pulire e restaurare la nostra casa, liberarla dalle brutture ambientali, dobbiamo salvarla dall’incuria dei suoi inquilini; e noi cosa facciamo? Licenziamo gli operatori, tagliamo i fondi per la conservazione e il restauro?
Mi sembrano scelte singolari, per non dire vergognose; di certo sono controcorrente rispetto agli altri Paesi europei.
Si parla poi della possibilità di poter affittare i beni culturali a enti e persone private. Indubbiamente sarebbe una rivoluzione capace anche di affinare nel tempo la percezione positiva dei beni culturali da parte dei cittadini e di contribuire all’accelerazione del restauro di migliaia di opere dimenticate dappertutto.
Ma come e con quali regole definire l’assegnazione delle opere? Personalmente ritengo che una proposta seria di affitto delle opere, già prevista dal Testo Unico, debba scaturire solo da un confronto serrato tra gli esperti. Infine, non dobbiamo mai dimenticare che la conservazione e il restauro non hanno niente a che fare con la valorizzazione finalizzata all’incremento del flusso turistico in entrata: il turista “culturale” è infatti per definizione selettivo: se va a Firenze, ha il tempo di addentare appena gli Uffizi e l’Accademia; le restanti opere d’arte sono spesso visitate solo dal turista “colto” e marginale.
Se vogliamo mantenere e valorizzare le opere minori, che sono poi la stragrande maggioranza, dobbiamo pensare a strategie diverse che, per definizione, non coinvolgeranno mai un “supermanager”. Quindi, risorse, risorse e risorse, e lunga vita alle Soprintendenze serie, unico baluardo contro la barbarie quotidiana!
Per concludere, ci sarà pure qualcuno che voglia essere ricordato così come Livio ricorda Augusto quando nel 9 a.C. (2010 anni fa), dopo aver costruito l’Ara Pacis, fece ricostruire ben 82 templi romani devastati dalle guerre civili: “Templorum omnium conditorem ac restitutorem”.
Augusto si rivolgeva ai romani dicendo loro che, anche se incol pevoli, avrebbero scontato i delitti dei loro padri qualora non avessero restaurato i cadenti tempi e le immagini annerite dalle fiamme degli incendi. Possibile che nessuno dei nostri governanti, quantunque abituati a vivere le bellezze lasciate dai nostri avi, non capisca appieno il senso delle parole di Augusto?
Francesco Amodei, Presidente dell’Istituto per l’Arte e il Restauro di Firenze |