“De re publica” 25-11-2008 Francesco Floccia
“De re publica” Le tante polemiche che hanno dato il corale “buon lavoro” a un designato “supermanager” dei Musei di Stato – ossia un nuovo Dirigente generale da inserire tra gli altri colleghi del Ministero Beni Attività Culturali e pertanto una ben delineata figura dirigenziale della Pubblica Amministrazione dalle precise funzioni e responsabilità di legge definite, regolamentate, previste e vigilate da altri e distinti organi di controllo - lasciano perplessi. Innanzi tutto perché non vedo come un Dirigente generale incardinato nell’ordinamento del Mibac, possa diventare improvvisamente un “super manager con i poteri assoluti” (v. l’”Appello per la salvaguardia dei Musei e dei beni archeologici e artistici in Italia” dell’Associazione Bianchi Bandinelli, 17/11/2008) salvo che non venga equiparato alle particolari qualifiche dirigenziali del Ministero dell’Interno: ma non c’è sentore alcuno che tale ipotiz zato “supermanager” ai musei venga nominato a breve anche “Prefetto della Repubblica, Capo dei Musei di Stato”. Non sono ironico al riguardo, ma perplesso e spero non petulante: ma tutta la storia dell’arte fin qui studiata e conosciuta, nonché le vicende secolari dell’architettura, dell’intaglio, del cesello, della tessitura e ogni arte simile, salvo per quella categoria di manufatti definita “materiale” ovverosia per lontana consuetudine etichettata come “popolare” – e quindi ignorata per anni da numerose filologie storico artistiche - hanno avuto come riferimento le corti regali e principesche, la ricchezza della buona borghesia, la cultura degli umanisti e del clero, la committenza civile attenta e generosa dalle facoltà economiche e intellettuali ampie ed esclusive. Non credo, o non ne sono colpevolmente informato, che mai nessuno dei moderni studiosi abbia messo in discussione con proteste retroattive i modi decisi, convinti e corroborati dalle notevoli risorse con i quali, a esempio, papi e cardinali rinascimentali o coevi ricchi banchieri senesi finanziavano scavi, acquisivano opere d’arte, avviavano le storiche raccolte di Famiglia consistenti in opere dell’antichità e che ora conosciamo e difendiamo: anche il mecenatismo e il collezionismo dei pontefici romani, a esempio, consente all’Italia di rivendicare la propria importanza mondiale nel campo delle ricchezze artistiche, di farne motivo di orgoglio tant’è che nessuno oggi, di qualunque orientamento critico possa essere, si schiererebbe dalla parte di Martin Lutero allorché, censore nel “Sermone sulle immagini” sul rischio della loro idolatria a scapito del valore della parola, in un certo senso condannava il papato anche per questo aspetto mondano e narcisista, misconoscendo così l’importanza di un collezionismo artistico e archeologico, sempiterno carattere peculiare della cultura italiana del Rinascimento. Si può condividere di Lutero lo scarno formalismo o il rigore spirituale e di pensiero ma nessun o oggi condannerebbe in suo nome le ricchezze artistiche messe insieme dai papi dell’epoca considerandole simbolo iniquo della fede, prodotto di ingiustizia, esempio di deprecabile idolatria, una “mammona” inadatta allo spirito dei Vangeli. E poi la celebre nomina di Raffaello da parte di Leone X a “soprintendente alle antichità” non sarebbe giudicata oggi un tipico esempio di conflitto di interessi? Ci sarebbe modo oggi, per esempio, di nominare presso il Mibac quale Dirigente all’architettura un qualsivoglia contemporaneo celebre architetto che sia anche imprenditore di successo, libero professionista, dinamico personaggio nel mercato italiano e internazionale nel campo delle progettazioni o costruzioni edilizie? Eppure si è dimostrato – per assurdo - con Raffaello che, un tempo, si poteva essere artista e ricoprire, nello stesso ambito del proprio lavoro, anche una carica pubblica di responsabilità: oggi non sarebbe certo possibile inquadrare un qualificato artista nell’amministrazione statale se non in un contesto di polemiche e controindicazioni. Riporto la risposta del Prof. Paolucci nell’intervista data all’”©L'Osservatore Romano” del 13 gennaio 20 08 (“Intervista ad Antonio Paolucci nuovo direttore dei Musei Vaticani”): “Per me la storia della tutela in Italia e in Europa comincia col breve di Leone X che nomina responsabile delle belle arti non un ufficiale di curia ma un grande tecnico”. Dunque, se l’obiettivo dell’eventuale “supermanager” individuato al di fuori dell’amministrazione Mibac è quello di riorganizzare una struttura e non certo quello di entrare nel merito di un’opera d’arte, in tal caso l’attributo di “tecnico” gli va assegnato sulla base di una riconosciuta esperienza e specificità professionale, vòlta a saper padroneggiare e sviluppare le modalità di un moderno mecenatismo: nessuno sminuisce le specifiche professionalità di studio, ricerca, tutela del Personale del Mibac tanto è vero che anche l’art. 111 (“Attività di valorizzazione”) del DL42/2004 parla di “..messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all’esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità indicate all’art. 6 ”. E perché poi quell’ormai accettato termine di ‘sponsorizzazione’ (è il mecenatismo di una volta?) va bene per le manifestazioni effimere (mostre) ma tanto impensierisce se previsto per dare ossigeno alle esposizioni permanenti? Se dunque oggi la conduzione politica del Mibac ha ritenuto di poter entrare nel merito della valorizzazione individuando non in un “ufficiale di curia” la figura professionale adatta a smuovere una situazione di stallo, ho la sensazione che parte del Personale “tecnico-scientifico”, come una volta veniva definito, collocato su posizioni di disaccordo, intellettualizzi fino all’estremo le ragioni della propria perplessità, escludendo di fatto ogni contraddittorio e cristallizzando così, in un atteggiamento di “horror novi”, qualsia si opportunità di analisi che possa dare torto o ragione allo spirito di un provvedimento neanche sperimentato. Lo Stato italiano tutela il patrimonio culturale nazionale con apposite leggi e infatti “Lo stato – disse Scipione l’Emiliano con parole di Cicerone – è ciò che appartiene al popolo. Ma non è popolo ogni moltitudine di uomini riunitasi in modo qualsiasi, bensì una società bene organizzata che ha per fondamento l’osservanza della giustizia e la comunanza di interessi” (Cicerone, “Dello Stato”, I-XXV). Se negli studi, tesi scientifiche, attività amministrative il Funzionario Mibac segue metodi di indagine attenti e progressivi avendo sempre presente la gradualità della ricerca e la verifica dei risultati allora, anche nei riguardi della struttura in cui opera e che ne ufficializza il lavoro, egli tenga in considerazione e al vaglio delle proprie ragioni i vari strumenti, responsabilità e livelli organizzativi che, come suol dirsi, la “Res publica” in quanto tale mette a disposizione per l’insieme dei cittadini e non di singoli gruppi.
20/11/2008
Francesco Floccia |