Il corpo dei morti 21-01-2009 Francesco Floccia
Il “silenzio stampa” che caratterizza in questo inizio anno 2009 la posta di codesto sito Patrimoniosos è forse dovuto a ragioni tecniche anche se l’aggiornamento quotidiano delle “News” procede, seppur saltuariamente: finita la grande e corale battaglia contro l’annunciata nomina di un Direttore generale per i Musei statali presso il Ministero Beni e Attività Culturali, nel campo della cultura nazionale è tornata la bonaccia. Bene così in quanto ciò suppone che, passate le feste natalizie, tutti abbiano ripreso con tranquillità ed entusiasmo il proprio lavoro pro bono et salute artium. Difatti scorrendo la rasserenante pagina copertina del sito Mibac si vede che sono tante le iniziative che vengono annunciate nel campo delle esposizioni o manifestazioni di interesse storico e culturale: la notizia più recente riguarda le celebrazioni del bicentenario della Pinacoteca di Brera – con concomitante presenza di una inevitabile mostra su Caravaggio – evento ripreso da più agenzie web di ieri (vedi: AGI - Milano 16 gennaio) che ricordano come, secondo le parole del Ministro Bondi, ci sia “in Italia fame di cultura e quando guardiamo queste opere vediamo riflessa la nostra umanita’ e diventiamo migliori”. Lascerei alle note e trepide sensazioni di Anna Frank la speranza di credere “nonostante tutto alla bontà degli uomini” e guarderei ormai a ogni opera d’arte, foss’anche del popolare e cabalistico Michelangelo da Caravaggio, con occhio, spirito e sensibilità guidati esclusivamente dal fattore della “gradevolezza estetica”. Se “migliori” infatti vuol dire saper realizzare tecnicamente un buon lavoro artistico, allora l’aggettivo mi convince: ma se “diventar migliori” sta a rappresentare un affinamento soggettivo delle proprie qualità morali, allora c’è da rifiutare questa ricorrente retorica sui significati eroici che l’arte, nel suo insieme di cose ben fatte, è in grado di trasmettere all’umanità. L’espressione “diventar migliori” sottintende gradualità temporale e quindi un progressivo, individuale entrare nella storia aiutati, in questo passaggio, dalle testimonianze artistiche entro cui dovremmo vedere come “riflessa la nostra umanità”. Ma non “l’arte è morta” bensì la ‘storia è morta’ diceva Bernard-Henri Lévy nel suo saggio “I dannati della guerra”, Il Saggiatore 2002: ”Questo presente senza passato e senza avvenire, questo eterno ora, che un teologo definirebbe il tempo dell’inferno ed è forse, più semplicemente, quello della fine della storia” (pp. 205-206). “Fine della storia” come constatazione di un unico momento terribile e reale in cui appunto “l’angelo della storia” - guardando a ciò che è stato - vede “una sola e unica catastrofe che non cessa di accumulare rovine su rovine” e le ammassa così “ai propri piedi” (id., pp. 204-205). Chi vuole illudersi oggi che l’umanità, attraverso l’arte, migliori se stessa, scopra il bene, comprenda eventualmente i caratteri armonici della propria natura credendo anche che misura del proprio essere sia il “bello” e non già la volontà e quindi l’agire? ‘Guardiamo’ allora la realtà ma non solo idealmente bensì, come consentono oggi le moderne tecnologie, attraverso le immagini news: così, scegliendo il sito giusto, possiamo vedere la “Cena in Emmaus”, la “Pietà Rondinini” col Cristo morto sorretto da Maria, alcuni capolavori conservati a Brera ma anche le immagini di tanti feriti e tragedie familiari in atto in queste ore nella sanguinosa battaglia di Gaza. Nella stessa comunicazione stampa sopra ricordata, il Ministro Mibac preannuncia che vuole esporre a Pasqua a Milano contemporaneamente il Crofisso michelangiolesco da poco acquisito e appunto la Pietà Rondinini in un certamente spettacolare accostamento che esalta il capolavoro, il drammatico, puntando al riconoscimento entusiastico, acritico e di grande richiamo della grandezza dell’opera di un artista famoso. Consentirebbe lo stesso Ministro una esposizione di opere, di foto, di composizioni artistiche altrettanto drammatiche, macabre, realistiche che documentassero le crocifissioni dell’oggi, le urla delle moderne madri orbate violentemente dei figli, dei corpi trafitti da schegge e martoriati dal fuoco, in una altrettanto pubblica mostra, curata in un Museo statale dove, osservando le opere che documentano i fatti della realtà contemporanea – o alcuni aspetti di essa – possiamo scorgervi la “nostra umanità” sapendo però che non diventeremo per questo “migliori”? La foto del corpo di un morto appartenente a una delle innumerevoli vittime delle guerre che riempiono la Terra in queste ore o la figura del Cristo Rondinini richiamano oggi, nelle condizioni storiche che stiamo vivendo, entrambe quell’”era dei dannati, dei buchi neri”, dei disperati, del “rifugiato” che Bernard-Henry Lévy definiva l’”era del Relitto” (cit., 204). Nessun pessimismo allora ma neanche nessuna connotazione artistica può rendere mirabile il corpo del Cristo morto e invece osceno quello piagato e contorto di una vittima sfigurata dal napalm o dal fosforo: nello scritto “Estetica della guerra” (id., pp. 111-113) il Lévy, raccontando del suo viaggio in Angola e riferendosi alle città di Huambo e Kuito, usa la comprensibile espressione di “capitali maledette del calvario contemporaneo” esprimendo senza ipocrisie forse un omaggio alla storia ma dimostrando anche come l’umanità sia sempre pronta e sperimentata nella condizione di affrontare, tra le tante realtà, anche quella della violenza, del male o della guerra. Ha ben altre armi e opportunità il Politico per educare alla pace, per avviare i popoli a condizioni di vita meno aspre, difficili e, in taluni casi, sanguinose: all’opera d’arte che viene dalla storia non si affidi il compito di renderci “migliori” giacché con la retorica del bello artistico si rischia di rendere ancora più fastidiosa, disturbante ed estranea l’immagine viva di una tragedia sconvolgente, reale, calata nell’oggi e che qualunque mezzo di comunicazione ci può fornire in diretta da qualsiasi parte del mondo. Tra un cadavere ripreso via web in queste ore di fuoco e il Cristo morto della Pietà Rondinini a me quest’ultimo sembra oggi quello virtuale e non funzionale a scuotere sentimenti o critica. A parte l’entusiasmo che si suscita nel pubblico per il “bello nell’arte” in mostra, quale rapporto ha pertanto – in tali condizioni – con la coscienza storica un qualsivoglia prodotto dell’ingegno artistico? 17/1/2009 |