FOGLIE DI FICO SUI BENI CULTURALI 24-02-2009 Davide Gasparotto
La situazione vista dall’interno dell’amministrazione (periferica) dei beni culturali I beni culturali in Italia vivono ormai in una situazione schizofrenica. Da un lato il trionfalismo delle mostre di successo, la compiaciuta soddisfazione per gli acquisti di opere d’arte da parte dello Stato (un Crocifisso non unanimemente attribuito a Michelangelo dalla comunità scientifica comperato per oltre tre milioni di euro, devotamente mostrato al Pontefice ed esposto in pompa magna a Montecitorio...), la retorica che un efficiente managment dei beni culturali sarebbe in grado in un batter d’occhio di risollevare le sorti dei nostri musei e siti archeologici... Dall’altro la realtà vera di un’amministrazione - centrale e periferica - ormai allo sbando, con una carenza di fondi anche per le più semplici attività ordinarie che paralizzano tutela e restauri, con organici che si assottigliano sempre di più (o che sono del tutto sbilanciati da regione a regione) e senza nessun nuovo ingresso di personale tecnico competente e preparato da ormai molti anni. Ma andiamo con ordine. In primis, la struttura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: con le riforme Melandri-Urbani-Rutelli-Bondi (ben quattro nel giro di pochissimi anni) la struttura del Ministero, invece di snellirsi, si è fatta sempre più farraginosa e burocratica, con un aumento spropositato dei dirigenti di fascia alta, un rinnovato centralismo e un finto “federalismo”, rappresentato dalla costituzione delle “Direzioni Regionali” (con sede nei capoluoghi di Regione), che nelle intenzioni avrebbero dovuto rappresentare una sorta di coordinamento delle diverse Soprintendenze operanti in una determinata regione, ma che di fatto sono uffici meramente burocratico-politici, retti da dirigenti di prima fascia e riempiti con personale proveniente dagli altri uffici territoriali, che sono stati così ulteriormente impoveriti a livello di personale (già carente). Di nuovi concorsi per il personale tecnico con preparazione specifica - quello che servirebbe e che lavora per davvero - ovviamente neppure a parlarne. Dunque aumento delle spese, aumento della burocrazia, ma in realtà diminuzione dell’efficienza e dell’efficacia degli uffici periferici (le Soprintendenze per i beni archeologici, architettonici e storico-artistici), che già esistevano e che andavano potenziate e semmai rese un po’ più autonome dal centro (ad esempio lasciando loro maggiore autonomia finanziaria e capacità decisionale). Ora si assiste continuamente ad un doppio passaggio burocratico: Soprintendenze-Direzioni Regionali-Ministero (Roma), riguardo a quasi tutti i tipi di decisione, immaginate con quali lentezze e farraginosità (per non parlare dei conflitti di competenze ed attribuzioni). Infine, con l’ultimissima riforma Bondi (che sta per essere varata), assisteremo anche alla creazione di una nuova Direzione Centrale, quella “dei musei e della valorizzazione”, cui si vuole mettere a capo un manager, come abbiamo appreso dalle cronache di questi giorni, con esperienza zero nel campo della gestione dei beni culturali. Questo manager dovrebbe “finalmente” assicurare la tanto agognata efficienza dei nostri musei e siti archeologici....e questo accade in Italia nel momento stesso in cui a capo del più importante museo americano, il Metropolitan di New York, è stato scelto uno storico dell’arte di 48 anni! Il concentrarsi spasmodico della politica sull’organizzazione del Ministero e sulla riorganizzazione burocratica ha fatto sì che negli ultimi anni, con questi cambiamenti continui, il sistema tutto sommato solido della nostra tutela ha cominciato a barcollare paurosamente, perché, non avendo ancora digerito un cambiamento, la struttura ne subiva a stretto giro un altro, con un caos generalizzato che tende a paralizzare le strutture della tutela, impedendo di fatto di concentrarsi su quelli che sono i veri problemi della conservazione, gestione e valorizzazione del nostro patrimonio artistico. Alcuni di questi problemi sono sotto gli occhi di tutti, e mi sembra significativo che un giornalista come Eugenio Scalfari, che prima non aveva mai toccato l’argomento, abbia recentemente dedicato un bell’editoriale alla questione dei beni culturali nel nostro paese. Di fatto negli ultimi anni, l’unica personalità autorevole ad occuparsi dei “mali” del sistema dei beni culturali è stato il professor Salvatore Settis, oggi presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, ormai sorta di “Cassandra” sempre più inascoltata e continuamente a rischio di dimissioni, che vengono spesso richieste a gran voce da esponenti politici evidentemente desiderosi di sostituirlo con qualcuno più acquiescente. E’ così che, pian piano, i veri problemi dei nostri beni culturali sono passati in secondo piano, magari nascosti dai riflettori delle “mostre”, l’unico settore che oggi sembra trainare il sistema, perché essenzialmente fa girare denaro e dà la giusta visibilità al Ministro, al Presidente, all’Assessore di turno. Per carità, non abbiamo nulla in contrario alle mostre tout-court: ben vengano, se sono frutto di un serio progetto scientifico, se nascono da un intervento di conservazione, se sono concepite nell’ottica dell’informazione del pubblico e della crescita della cultura generale e della consapevolezza dell’importanza del nostro patrimonio artistico. Ma esse ormai sono diventate quasi solo un business o semplicemente una vetrina, e in molti casi – lo dico con amarezza – anche il rifugio di tanti funzionari di Soprintendenza delusi ed impotenti ad operare come vorrebbero sul territorio (l’altro rifugio sono diventati gli “incarichi” all’Università, anche questi sottopagati, ma che conferiscono un alone di prestigio al funzionario che soffre di complessi di inferiorità nei confronti del professore universitario...). Di territorio e di paesaggio ormai non parla quasi più nessuno, e pochissimi ripetono (con Settis e pochi altri) che la grande ricchezza del nostro paese non sono solo i grandi musei o i grandi siti archeologici, non sono solo le “emergenze” artistiche, ma è proprio la diffusione capillare del patrimonio artistico sul territorio, e l’interazione affatto speciale tra paesaggio e patrimonio artistico. Intanto, in questi ultimi dieci/quindi anni abbiamo assistito impotenti e tutto sommato nel silenzio generale ad un rinnovato boom edilizio, che ha completato (o quasi) l’opera di devastazione della nostra (ormai ex) bell’Italia. Anche qui siamo ormai in una situazione schizofrenica: una iper-tutela dei centri storici cui fa da lugubre contraltare il sostanziale abbandono del territorio e del paesaggio, non solo al sud controllato da mafia o camorra ma anche nel “civilissimo” nord. Si parla ormai pochissimo anche di restauro, perché ormai mancano quasi del tutto alle Soprintendenze i fondi per poter promuovere restauri in proprio. Non si parla quasi mai del tema importantissimo della formazione dei restauratori in Italia: dopo anni di caos normativo, nel quale si sono lasciate proliferare scuole regionali senza alcun controllo di qualità, che hanno formato schiere di restauratori o pseudorestauratori oggi in gran parte disoccupati, ora a formare i nuovi restauratori ci dovrebbero pensare le Università (ma con quali mezzi, con quali laboratori?) e la scuole dei nostri due principali e un tempo gloriosi Istituti Statali per la conservazione (l’ICR di Roma e l’OPD di Firenze) sono chiuse da tre anni, con i loro nuovi regolamenti bloccati a Roma dalla farraginosità della burocrazia ministeriale... e di questo non parla né si occupa nessuno. C’è poi la questione, cruciale, del personale tecnico: la struttura ha urgentissimo bisogno di forze giovani e preparate che devono essere immesse negli ormai invecchiati quadri ministeriali. Io ho quasi 43 anni e sono ancora considerato un “giovane”......ma servirebbero i trentenni, cui insegnare il mestiere, che si impara in gran parte sul campo, e a cui passare il testimone. Che cosa fa il Ministero a questo riguardo? Sotto la spinta sindacale, promuove corsi di “riqualificazione” (non diciamo con quale livello didattico) che fanno compiere al personale in servizio i cosiddetti “passaggi di area”, col risultato che funzionari amministrativi possono riqualificarsi come “storici dell’arte”, anche se non sanno distinguere Giotto da Picasso! Oggi si fa un gran parlare di “valorizzazione”, si accusano i soprintendenti di essere studiosi ammuffiti, chiusi nelle loro stanze polverose, incapaci di far funzionare a dovere i musei a loro affidati, che dovrebbero dunque essere affidati a capaci manager in grado di far fruttare, in termini economici, i nostri “giacimenti”. Forse ci si dimentica che nel nostro paese la maggior parte delle grandi mostre sono organizzate dalle Soprintendenze, anche quelle di successo, forse ci si dimentica che ormai da anni i Soprintendenti e i funzionari fanno del “fund raising”, trovano cioè sponsors e risorse private sia per i restauri sia per le mostre, forse ci si dimentica che le Soprintendenze organizzano nei musei di loro competenza attività didattiche per le scuole, concerti, conferenze, visite guidate, spesso attraverso l’impegno personale di funzionari sottopagati e, spesso, senza trovare alcun sostegno finanziario da parte del Ministero. Storici dell’arte, archeologici, architetti delle Soprintendenze sono perfettamente in grado di valorizzare ciò che conoscono benissimo, basta che vengano messi in grado di farlo da una classe politica che finalmente comprenda che nella cultura in un paese come il nostro si deve investire per davvero, non solo con i proclami, ma concretamente. Di questo abbiamo bisogno, non di manager che si sono dimostrati abili nel vendere panini. Direi dunque che non c’è affatto da essere ottimisti. La struttura va completamente ripensata, ma non nella prospettiva “politica” con cui questo è stato fatto negli ultimi dieci anni, ma nella prospettiva di una valorizzazione della componente tecnico-scientifica che un tempo reggeva il Ministero. Va recuperato, prima che sia troppo tardi, il ruolo insostituibile della presenza sul territorio delle Soprintendenze, che devono riacquistare quel peso e quell’autorevolezza che una classe politica totalmente miope ha loro progressivamente sottratto attraverso l’esercizio arrogante ed ignorante del potere.
Davide Gasparotto Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnontropologici di Parma e Piacenza |