Il parere di 02-12-2002 Gabriella d’Henry, Ispettore Centrale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali a riposo
Alle nuove disposizioni governative relative alla gestione, valorizzazione e, ahimè, alienazione dei Beni Culturali, la mia prima reazione è stata di incredulità: sembra impossibile che il modello italiano di tutela, considerato inattaccabile da secoli, ereditato in gran parte da leggi severe degli Stati preunitari, protetto dall'articolo 9 della Costituzione, possa, per colpa di governanti incompetenti e presuntuosi, disfarsi come un castello di carte? Dopo quasi mezzo secolo di "militanza" nelle Soprintendenze, dopo lunghi, e ormai remoti, periodi di lotte e discussioni tese al tentativo di migliorare le strutture dell'Amministrazione dei Beni culturali, nei diversi ambiti - dapprima nel gruppo degli Amici di Dialoghi di Archeologia, poi all'interno dell'Associazione Funzionari -, non mi pareva credibile ritrovarmi in una situazione di totale "deregulation", nella quale tutti i beni immobili facenti parte del Patrimonio disponibile ed indisponibile dello Stato, nonché tutti i beni del demanio, potessero essere tranquillamente alienati. Ma, ad una analisi più approfondita, ci si può rendere conto che la situazione si è modificata gradualmente ed insensibilmente, senza suscitare particolari allarmi, a volte anche con la nostra complicità. A poco a poco, negli anni, forse per carenza di fondi e fragilità di strutture, forse per una marginalizzazione del concetto di Bene Culturale nell'ambito della società attuale, si è data sempre più importanza all'aspetto economicistico del Patrimonio culturale: il quale non ha prezzo, però può essere causa, mediante l'indotto, di sviluppo anche - ma non solo - economico. Tra le varie manovre attuate negli scorsi decenni per incrementare possibilità di spesa in una struttura che è sempre stata la "cenerentola" tra tutti i Ministeri, ricordo gli Itinerari Turistico-culturali promossi dai Ministri del Lavoro e dei Beni Culturali; ma gli Itinerari, quando gestiti bene, avevano in sé una forte potenzialità sia di progresso civile che di sviluppo economico. Più discutibile l'operazione dei Giacimenti Culturali, che, nonostante potesse essere gestita in maniera corretta se tenuta sotto il vigile controllo delle Soprintendenze territoriali, ha lasciato dietro di sé soltanto uno stuolo di giovani disoccupati ed una massa di materiale informatico del tutto obsoleto. Negli ultimi anni, vari provvedimenti relativi alla gestione dei Beni Culturali hanno cominciato a preoccupare; ma il Testo Unico sulle Leggi di tutela (D.L. 490/1999), di fatto, pur abrogando la benemerita Legge 1089/39, ne ha assorbito e confermato gli elementi essenziali, confermando la validità della Legge stessa. Ora, con le nuove disposizioni, sembra di essere su una strada di "non ritorno". Le recenti direttive (e cioè la creazione dei due Enti, la "Patrimonio dello Stato S.p.A" e la "Infrastrutture S.p.A.") attaccano deliberatamente il patrimonio culturale della Nazione, sia o no Proprietà dello Stato; quel patrimonio formatosi in un particolare contesto storico, che va protetto nel suo insieme e che rappresenta la specificità del "modello Italia"; patrimonio di tutti i cittadini, considerato un "unicum" anche dagli Stranieri. La stessa volontà di distaccare il momento della conservazione da quello della gestione, due momenti inscindibili dell'attività di tutela, fa sì che venga deprezzato un bene unico al mondo, destabilizzata la sua conservazione e deresponsabilizzati, umiliandoli, quanti operano sul campo. Quanto poi all'alienazione del Bene, con queste operazioni, oltre a defraudare i cittadini dei loro diritti di sempre, si rischia di distruggere il bene vittima dell'alienazione con una miope politica di svendita. A quanti, infine, sostengono che, con simili operazioni, ci si ispira al "modello americano" di gestione e valorizzazione del Bene culturale, vale la pena ricordare quanto affermato recentemente da due illustri economisti statunitensi Throsby e Klamer (e prendo al citazione da S.Settis, "Italia S.p.A", Einaudi, Torino 2002): "il valore del bene culturale non si calcola in moneta, ma sulla base del beneficio che dalla sua conservazione si ripercuote sulla società nel suo complesso, e che si traduce anche in vantaggio economico". |