Appello per la salvaguardia dell’ex residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya sul Bosforo 18-11-2005
L’appello per la salvaguardia dell’ex residenza estiva dell’Ambasciata d’Italia a Tarabya sul Bosforo - pregevolissimo edificio progettato da Raimondo D’Aronco nel 1905 - lanciato nel mese di luglio da Italia Nostra sezione di Udine e dall’Ordine degli Architetti della provincia di Udine ha acquistato nell’arco di qualche mese, in virtù di uno scenario internazionale che ha subito alcune importanti modifiche, un peso ancora più rilevante. Innanzitutto dal 3 ottobre si sono ufficialmente aperti i colloqui con la Turchia per l’ingresso nell’Unione Europea, inoltre ci sono alcuni fattori che fanno sperare in un auspicabile intervento da parte dello Stato italiano, se non altro per motivi di opportunità dettati dall’agenda della politica estera.
A incrementare l’opera di sensibilizzazione si è affiancata l’attività del “Comitato per la salvaguardia delle opere di Raimondo D’Aronco” che ha avviato una raccolta di firme, tra le quali si segnalano l’adesione di Salvatore Settis, rettore della Scuola Normale Superiore di Pisa, di Carlo Ripa di Meana presidente nazionale di Italia Nostra e di Furio Honsell, rettore dell'Università di Udine.
Mentre a Istanbul e Roma si tengono riunioni per individuare aziende e enti che potrebbero partecipare alla raccolta di fondi necessaria per avviare il restauro, a Tarabya la villa sta scivolando verso un degrado sempre più inarrestabile: non servono centinaia di migliaia di euro per riparare una grondaia che da due anni, (non giorni, settimane o mesi ma proprio due anni) scarica direttamente all’interno dell’edificio e ha intaccato la trave maestra del secondo piano che ha ormai raggiunto un livello di flessione preoccupante, mettendo a rischio anche la stabilità del terzo piano.
Inoltre nessuno ha trovato la somma necessaria a acquistare catena e lucchetto per chiudere due porte che consentono l’ingresso nella villa, tanto che a un mese di distanza i sopralluoghi effettuati hanno potuto constatare che lo shopping di balaustre, caminetti, elementi decorativi è fiorente e si svolge totalmente indisturbato. Per ovviare a questo problema sarebbe bastato mantenere il servizio offerto dal custode, che è stato abolito a causa dei tagli di bilancio: un ragionamento scarsamente lungimirante quando si andranno a valutare i costi derivanti dall’abbandono della Villa.
Ora se è encomiabile cercare di avviare la raccolta fondi di restauro, è ancora più urgente trovare le poche migliaia di euro necessarie a far intervenire una normale impresa di costruzioni o fare acquisti in ferramenta: ci risulta incomprensibile che le autorità italiane non siano state capaci di attivarsi per porre riparo a danni così evidenti e tanto facilmente riparabili. Questa volta l’Italia rischia veramente una figuraccia internazionale, anche perché il recupero della Villa non è faccenda di rilievo nazionale ma ha da tempo varcato i confini dello stato, inoltre nei prossimi giorni il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha in programma una visita ufficiale in Turchia.
Questa ci è sembrata una occasione molto importante, così sono stati attivati contatti con la Presidenza della Repubblica per illustrare le condizioni della Villa e far giungere tutte le nostre preoccupazioni. Abbiamo presentato un dossier contenente l’opera di sensibilizzazione svolta in questi anni e illustrato alcuni dei criteri che dovrebbero, a pare nostro, ispirare il restauro.
Abbiamo in particolare evidenziato l’importanza di individuare con chiarezza la destinazione d’uso futura dell’edificio, operazione indispensabile anche per giungere a formulare il preventivo di spesa.
Ma prima di tutto chiediamo di attivare urgentemente le opere di riparazione più necessarie.
L’urgenza è dettata anche dalla constatazione che in questo edificio nel quale D’Aronco fa convivere felicemente due tradizioni quella occidentale e la turco-ottomana, sia ormai il simbolo, la bandiera di una dimensione culturale dove la comprensione di ciò che è diverso, viene affrontata senza timore di perdere la propria identità, ma addirittura vissuta come valore.
L’edificio quindi può diventare per l’Italia una preziosa risorsa di immagine e amicizia con la Turchia, un formidabile volano promozionale, a patto di presentarsi con una struttura stabile e non certo a livello di rudere.
Ci auguriamo che questo riuscito connubio di culture diverse non sia il motivo per il quale finora non si è fatto nulla, poiché proprio in tempi così difficili per il dialogo e la reciproca comprensione, tutto ciò che costituisce un esempio di incontro va, a nostro parere, valorizzato e promosso. Lo stesso restauro potrebbe diventare una prima occasione di collaborazione tra progettisti, imprese e maestranze turche e italiane e il cantiere potrebbe assumere caratteristiche di un laboratorio scuola e modello di intervento, soprattutto considerando il prestigio che ha l'Italia nel campo del restauro monumentale. Ci sono mille motivi per fare e più nessuna scusa per continuare ad assistere allo scempio dell'ex Ambasciata d'Italia a Tarabya e quindi chiediamo al Governo Italiano e alle Amministrazioni locali della Regione Friuli Venezia Giulia di intervenire e di farlo in fretta.
Italia Nostra consiglio regionale e sezione di Udine Ordine degli Architetti pianificatori paesaggisti e conservatori della Provincia di Udine Comitato per la salvaguardia delle opere dell’architetto Raimondo D’Aronco.
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