La “riqualificazione” del Mercato Vecchio dei Fiori di Pescia La storia di un errore 23-09-2009 Massimiliano Bini
Lo sviluppo della produzione di fiori nel territorio pesciatino spinse l’amministrazione comunale a bandire nel 1949 un concorso nazionale al fine di realizzare, in una zona ancora poco sviluppata della città, una piazza coperta in cemento armato da adibire a mercato orto-floro-frutticolo provvista di uffici, magazzini e servizi. Il progetto vincitore, che fra le altre cose dovette tener conto della possibilità di sfruttare il locale per cinematografo e altri spettacoli, fu quello del gruppo di progettisti riuniti sotto il motto “Quadrifoglio" e formato dagli architetti Leonardo Savioli, Leonardo Ricci, Giuseppe Giorgio Gori, Enzo Gori, e dall'ing. Emilio Brizzi. L’elaborato presentato fu ritenuto infatti una creazione architettonica nobilissima, limpida, ariosa e se ne sottolineò il perfetto connubio fra scelte formali e soluzioni tecniche. Il Mercato dei Fiori di Pescia fu dunque inaugurato, seppur i lavori di rifinitura si prolungarono fino al 1953, nel 1951 e la struttura definitiva si discostò solo in alcune parti dal progetto originario: da rimarcare l’arretramento di 7 ml dal limite della carreggiata di via Amendola per poter così ampliare la piazza di ingresso e di smistamento traffico. Il Mercato soddisfece le esigenze per le quali era stato immaginato per circa venti anni, ma l’aumento progressivo della produzione floreale della Valdinievole spinse ancora una volta l’amministrazione comunale nel 1970 a bandire un nuovo concorso vinto questa volta dagli architetti Leonardo Savioli e Danilo Santi che portò alla realizzazione del Nuovo Mercato dei Fiori, terminato solo nel 1988. L’originario Mercato dei Fiori, divenuto ipso facto il Vecchio Mercato dei Fiori, venne dunque abbandonato e utilizzato saltuariamente per alcune edizioni della Biennale del Fiore.
Il Vecchio Mercato dei Fiori di Pescia suscitò fin dall’inizio notevole interesse da parte della critica internazionale tanto da aggiudicarsi l’ambito premio S. Paolo del Brasile del 1953, assegnato da una giuria di cui facevano parte fra gli altri Le Corbusier, Gropius, Alvar AAlto e, in rappresentanza dell'Italia, Ernesto Nathan Rogers: oggi la sua fama si è ormai consolidata ed è considerato tra le opere che segnano la "rinascita" dell'architettura italiana nel dopoguerra. L'edificio si presenta sostanzialmente come una grande "tenda" rettangolare di 73 x 24 m, coperta da una grande volta a catenaria che scarica su 12 setti laterali anch'essi in cemento armato posti ad un interasse di 14,40 m., “vela” che, tinteggiata in bianco, sembra inarcarsi sui sostegni e proiettarsi verso l'alto, come una tenda gonfiata dal vento. Seppure la costruzione di condomini a tre-quattro piani sul lato occidentale ha notevolmente ridotto l’effetto panoramico rappresentanto dalla volta progettata quale cannocchiale prospettico fra la collina di Colleviti ad Ovest ed il torrente Pescia ad Est, l‘impianto generale a piazza coperta ha mantenuto il suo carattere ortogonale e prospettico assimilabile a quello classico delle basiliche.
Attualmente, la costruzione versa in stato di degrado e di abbandono nonostante vi siano stati spesi in questi ultimi anni somme non irrilevanti di soldi pubblici per la sua conservazione e ciò rende ancora più discutibile, se ce ne fosse bisogno, l’operazione di “recupero e riqualificazione” posta in essere dall’amministrazione locale: scelta che noi qui critichiamo, sia detto subito, nel metodo scelto e nella sostanza. Nell’aprile del 2007, per la precisione il giorno 18, il Direttore Generale del comune di Pescia ha reso noto un Avviso Pubblico di Project Financing, apparente moderna panacea per tutti i mali che affliggono le vuote casse municipali, per la ristrutturazione urbanistica e la riqualificazione dell’ex Mercato secondo linee guida, con annesso studio di fattibilità, messe a punto dagli uffici tecnici interni che sostanzialmente prevedono l’inserimento nell’edificio di strutture terziarie e commerciali “compatibili” privilegiando “i trasferimenti di strutture commerciali esistenti nel territorio comunale”. Sempre lo stesso Avviso prevede “la possibilità di inserire medie strutture di vendita (anche organizzate in “galleria”, con negozi collegati), a condizione di non stravolgere “le caratteristiche dell’immobile, di non comprometterne la dimensione e la fruibilità pubblica”: insomma la costituzione di un centro commerciale travestito da piazza coperta con l’unica consolazione, a mo’ di foglia di fico, rappresentata dalla richiesta di riservarsi uno spazio per usi “pubblici” e “sociali” e con l’ovvio previo “gradimento della Sovrintendenza ai beni Culturali ed Ambientali”. Dato che “nei tempi e nei modi di legge” è pervenuta nel frattempo una proposta, e solo una, la giunta municipale con delibera numero 33 del 19 febbraio 2008 ha deciso di “dichiarare di pubblico interesse la proposta di finanza di progetto per la riqualificazione-ristrutturazione dell’ex Mercato dei Fiori, formulata dal raggruppamento di imprese Consorzio Toscano Cooperative Soc. Coop. e CMSA Soc. Coop.”, progetto che in fase istruttoria è stato modificato accogliendo l’esigenza di “una maggiore quantità di spazi ad uso pubblico” ma che, come ovvio, ha confermato l’inserimento di una media struttura di vendita di circa mq 1400 e un numero imprecisato di spazi da adibire a negozi. Si è cercato in questo modo di calmierare profondi malumori montanti nell’opinione pubblica e il netto dissenso della Confcommercio locale che ha chiesto espressamente di scongiurare la nascita di un “nuovo centro commerciale nel cuore della città” con il previsto raddoppio della superficie di una struttura di vendita già presente: la Coop, aggiungiamo noi, visto che non viene mai citata direttamente. Nel maggio 2008 è stato messo a punto il bando di gara mediante procedura ristretta e relativo disciplinare “per individuare le due migliori offerte che si contenderanno con il promotore l'affidamento della concessione di lavori pubblici indicata in oggetto, ai sensi dell'art. 155 e ss. del DLgs 163/2006 e successive modificazioni”, il testo prevede che nel caso in cui “nella procedura negoziata di cui sopra risulti aggiudicatario un soggetto diverso da Promotore, entro 60 giorni dall'aggiudicazione definitiva quest'ultimo avrà diritto al pagamento ex Art. 155 del DLgs 163/2006 e ss.mm.ii. dell'importo di euro 176.250,00, titolo di rimborso per le spese sostenute nella predisposizione della proposta”, concludendo che “tale pagamento è posto a carico dell’aggiudicatario definitivo”. Il termine scadeva il 4 luglio 2008: da questa data non si rinvengono altri atti ufficiali e la nuova amministrazione di diverso colore politico che ha sostituito la precedente nel luglio 2009 non si è ancora pronunciata in materia. Ci siano concesse, come anticipato, alcune valutazioni. Non si può non rimarcare come innanzitutto non vi sia stata alcuna compartecipazione dei cittadini in merito al destino di questo “segno del territorio” e come invece si sia scelta una via interna di progettazione di basso profilo non consona cioè ad un esempio di architettura così notevole e non si sia fatto ricorso alcuno a concorsi di natura internazionale: mentre lo si è fatto nello stesso comune per la riqualificazione di parte del centro storico, mi riferisco al progetto l’Antica Piazza Nuova, vincitore l’arch. Hans Koloff con un progetto, guarda caso, intitolato “Quasi tutto perfetto”… Vogliamo sottolineare una scelta di metodo a nostro avviso errata e miope che ha portato nella sostanza ad una banalizzazione dei termini della progettazioni esclusivamente motivati da ragioni di carattere economico che non hanno tenuto in nessun conto l’importanza di questo vero e proprio “monumento”. Una pretestuoso riferirsi ad un passato utilizzo di carattere commerciale, pur vero, del Vecchio Mercato è stato usato per giustificare la sua “ristrutturazione” in un ennesimo centro commerciale, un nuovo “non luogo” della grande distribuzione corredato, naturalmente, delle sempre necessarie zone a parcheggio in questo caso interrate in prossimità del fiume: i due beni primari di un distorta interpretazione della contemporaneità e dei bisogni del cittadino. Il modo dunque e la sostanza, con l’aggiunta peggiorativa di vedersi alienare un bene pubblico, così da permettere ai privati di rientrare dall’investimento pari a 7 milioni di euro, per più di venti anni.
Sia detto provocatoriamente ma in vista di questo suo annullamento nell’anonimato non si può che preferire un fastoso e festoso abbattimento.
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