Relazione della Confederazione Italiana Archeologi. 25-02-2006 Giorgia Leoni*
*Presidente Confederazione Italiana ARcheologi
La Confederazione Italiana Archeologi nasce nel novembre del 2004 con lo scopo di promuovere la figura di tutti gli archeologi attraverso la definizione e la tutela della loro professionalità.
Non un albo, né tanto meno un ordine, ma un’associazione professionale. Uno strumento più agile che non si limiti a certificare un titolo di studio, ma garantisca la professionalità e l’aggiornamento curricolare degli associati. Uno strumento dunque che assai meglio di ogni altro può riunire tutti i molteplici aspetti di una professione variegata, e che è privo di quelle rigidità e di quei protezionismi ormai superati dai tempi. E uno strumento che si allinea con le normative europee, che tendono all’abolizione degli albi esistenti ed escludono la costituzione di nuovi.
Ma soprattutto una soluzione più adatta alle caratteristiche e alle esigenze del nostro lavoro, segnato da una continua evoluzione e da una mobilità tale, che le rigidità di un albo o di un ordine professionale rischierebbero di ingessare in una figura fuori dal tempo e dal mercato.
A tale scopo la Confederazione Italiana Archeologi è entrata a far parte del COLAP (Coordinamento Libere Associazioni Professionali), la cui finalità è valorizzare le istanze di rappresentanza delle attività professionali non regolamentate e tutelare le esigenze del loro sviluppo.
Contemporaneamente abbiamo avviato le procedure necessarie per entrare all’interno della consulta delle professioni non regolamentate, organo del C.N.E.L. (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), che riunisce le professioni non disciplinate da ordini e albi, con lo scopo di fornire regole e tutela dei professionisti e dei committenti, sia nell’ambito pubblico sia in quello privato.
Il COLAP e il CNEL sono gli unici due organi che il governo e le forze politiche e sindacali riconoscono come referenti del mondo delle associazioni professionali. In seguito un collega ci spiegherà nel dettaglio le attività di entrambi gli organi e l’iniziativa a cui collaborerà l’associazione. La Confederazione è dunque, prima di tutto, uno strumento con cui lavorare tutti insieme per il riconoscimento e la valorizzazione di tutte le numerose forme di attività svolte dagli archeologi, per la definizione del profilo professionale in relazione ai percorsi formativi, per la regolamentazione delle condizioni di lavoro in termini di retribuzioni, diritti, tutele, trattamenti previdenziali, assistenziali, assicurativi.
Ma la Confederazione è anche lo strumento attraverso cui sviluppare un confronto con le istituzioni e con gli enti locali, per incidere sulle scelte legislative e di governo.
Due livelli dunque, da un lato il miglioramento delle concrete condizioni di vita di chi opera nel settore, dall’altro l’elaborazione di proposte di sistema. Un progetto ambizioso che non può prescindere dal coinvolgimento del mondo dell’archeologia nel suo complesso. L’attività svolta nel corso del 2005 ha trovato vasta eco sulla carta stampata e su emittenti radiofoniche e televisive nazionali, giungendo nel novembre scorso ad un importante riconoscimento della Confederazione quale rappresentante della categoria degli archeologi alla Borsa del Turismo Archeologico di Paestum, dove siamo stati invitati a partecipare ad un dibattito sulle professioni dell’archeologia, insieme a esponenti del mondo accademico e del Ministero. L’iniziativa principale del 2005 è stato il convegno nazionale del 22 marzo alla Sapienza di Roma, dal titolo “Beni culturali e lavoro: problematiche e prospettive”, in cui abbiamo chiamato a confronto tutti: il mondo accademico, le sovrintendenze, gli enti locali, le imprese, i sindacati. Lo abbiamo organizzato insieme a storici dell’arte e restauratori, con i quali stiamo studiando un patto federativo, perché è nostra convinzione che la soluzione dei problemi debba necessariamente passare dalla costruzione di un quadro d’insieme compatibile, che tenga conto delle esigenze di tutti i professionisti che operano nel settore dei beni culturali. Dal convegno è emerso un mondo con mille contraddizioni, in cui i soggetti operanti nei diversi ambiti hanno spesso gravi difficoltà a comunicare le proprie esigenze ed aspettative.
Basti pensare al rapporto tra accademia e mondo del lavoro: non si tratta naturalmente di mettere l’università al servizio delle imprese, ma non si può neppure accettare che cinque o peggio sette anni di studio, non siano sufficienti a mettere un professionista nelle condizioni di svolgere le funzioni che realmente gli verranno richieste nel mercato del lavoro.
Ribaltando il titolo di un convegno di qualche anno fa, oggi dobbiamo affermare che “La laurea deve fare l’archeologo”. Bisogna pretendere che i percorsi formativi rispondano a elevati criteri qualitativi nazionali, pur nel rispetto delle specificità territoriali; pur riconoscendo le pecche sia teoriche che pratiche della vecchia laurea quadriennale, la nuova riforma del cosiddetto 3+2 non ha risolto quei problemi, spesso abbassando ulteriormente il livello di preparazione generale degli studenti. Pretendere che l’Università sia realmente formativa è il primo passo obbligato per la definizione della professionalità degli archeologi. La laurea quadriennale con indirizzo archeologico o laurea specialistica in archeologia o equipollenti devono essere riconosciuti come requisiti per la qualificazione professionale dell’archeologo. Il problema della formazione si impone oggi, ancora di più, alla luce del recente decreto sull’Archeologia preventiva (legge n. 109 del 25 giugno 2005). Se da un lato esso cita ufficialmente per la prima volta la figura dell’archeologo, dall’altro pone un grave vincolo allo svolgimento di tale attività: stabilisce che la valutazione di impatto archeologico debba essere (cito il testo) “raccolta, elaborata e validata unicamente dai dipartimenti archeologici delle università, ovvero da soggetti in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia o di dottorato di ricerca in archeologia”. Dichiara inoltre la volontà di istituire un “elenco” degli operatori dei Beni Culturali considerando, come referenti per la sua costituzione, solo il Ministero e i dipartimenti universitari, di fatto scavalcando e marginalizzando i lavoratori del mondo archeologico, le società che si occupano di indagini preventive, le realtà rappresentative del settore come la nostra. La scelta di attribuire all'Università poteri di tutela del patrimonio archeologico determina un indebolimento del ruolo delle Soprintendenze, che li hanno sempre esercitati garantendo un capillare controllo del territorio, pur nelle annose ristrettezze economiche a cui sono da sempre esposte. E’, inoltre, evidente un pericolo di distorsione del mercato. I dipartimenti universitari, attraverso l’utilizzo degli studenti, possono offrire valutazioni a costi minori rispetto a quelli proposti da professionisti regolarmente retribuiti e da imprese di settore. E’ invece necessario che l’università operi in funzione del suo primario scopo, cioè la formazione e l’innovazione nella ricerca metodologica, garantendo contemporaneamente una formazione tecnica in grado di soddisfare le esigenze della collettività e le richieste del mercato del lavoro. E proprio l’archeologia preventiva è uno dei cardini di un documento che, insieme alle parti sociali, a rappresentanti del mondo cooperativo e ad associazioni di categoria, la Confederazione sta preparando come piattaforma di intesa da proporre a forze politiche, sindacati, ministero, artigiani e imprese edili.
Il documento analizza l’attuale situazione professionale di archeologi e restauratori, partendo dal regolamento attuativo dell’art. 29 del Codice Urbani, l’unico articolo in cui si fa riferimento ai “restauratori e agli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro”.
La partecipazione all’elaborazione del documento di rappresentanti dei professionisti, archeologi e restauratori, e di una importante parte del mondo imprenditoriale, ha lo scopo di arrivare ad una definizione partecipata delle competenze e della tutela dei professionisti dei beni culturali, sia in ambito pubblico che privato.
Nel documento si sottolinea la necessità dell’applicazione di regole trasparenti nel sistema di affidamento degli appalti e nella scelta delle imprese qualificate a svolgere tali lavori, non intaccando diritti fondamentali dei lavoratori, quali la sicurezza nei cantieri e la prospettiva occupazionale per il futuro.
A tale riguardo si impone una severa riflessione sulla sicurezza nei cantieri archeologici, dove purtroppo sono frequenti incidenti causati spesso dalla superficialità e dalla mancanza di risorse, che inducono a non rispettare le norme di sicurezza.
E’ necessario che gli organi preposti vigilino in maniera ferrea sulle condizioni di lavoro e di sicurezza che vigono su questi cantieri.
E’ necessario, inoltre, che a livello legislativo si faccia chiarezza sulle responsabilità e sul ruolo che gli archeologi ricoprono nei cantieri, ma, soprattutto, che venga posta la dovuta attenzione alla formazione dei professionisti riguardo alle norme sulla sicurezza.
Le problematiche fin qui presentate e le questioni da affrontare sono molteplici e investono il sistema dell’archeologia nel suo insieme, dallo studente al professore universitario, dai funzionari delle Soprintendenze ai liberi professionisti, dalle piccole cooperative alle società archeologiche. Per quest’anno l’obiettivo della Confederazione è la costruzione delle sedi regionali, che abbiano un contatto diretto con le varie realtà territoriali e l’ampliamento della partecipazione alla vita e alla direzione dell’associazione. Giorgia Leoni Presidente Confederazione Italiana ARcheologi Valentina Di Stefano
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