La storia dell'arte è storia 15-08-2010 Francesco Floccia
Se potessimo dimostrare che esiste di già unarte post-virtuale che pure ha caratterizzato il recente passaggio del Millennio, ormai così formidabilmente soppiantata da unarte-realtà telematica ben più fantasiosa, imprevedibile e vivace, si potrebbe dire che tutto lo scenario di vita quotidiana, pubblica e privata, delle nostre società specie quelle urbane e metropolitane, è di per sé un appassionante quadro vivente che riassume ogni genere finora conosciuto della storia dellarte: classica, espressionista, ironica, ideologica, liberal/impressionista, dotta, pop, dissacrante, devota, di strada, retorica o di maniera. In questepoca abbiamo la buona sorte di convivere con una produzione artistica e creativa che vediamo realizzarsi sotto i nostri occhi per momenti e per gradi attraverso le azioni di tanti personaggi, fatti ed eventi che diventano quelle immagini di cronaca diretta e immediata che qualsiasi medium digitale pubblico e personale allistante coglie, riprende e fi ssa per sempre allattenzione e nella memoria di un effimero ma incancellabile archivio webfuturo. Ogni notizia o avvenimento di cui si venga a conoscenza attraverso la parola, un video o le privatissime fotografie, diventano infatti rappresentazioni visive per la nostra mente che inevitabilmente le elabora facendole proprie in un contesto peraltro sempre più denso e arricchito da ulteriori dati, informazioni e sentimenti personali. Cè da chiedersi allora quanto regga a fronte di un siffatto profluvio di eventi inediti, reali nellistante, sovente curiosi e impensabili ma sempre preminenti nel globale scenario delle news - il bisogno o il rispetto per la cosiddetta opera darte del passato che seppur bella, misteriosa e lontana nel gusto non può più avere la forza simbolica e visiva capace di entusiasmare tutti gli intelletti delle nostre contemporanee società miste per provenienze, linguaggi, culture, tradizioni, remore o coscienze: naturalmente ci saranno sempre stu diosi, appassionati, anime colte e attente, professionisti della materia che avranno cura e attenzione per i retaggi artistici della nostra antica civiltà ma non possiamo pretendere che lattenzione verso i compianti beni culturali italiani debba essere comunque il centro delle emozioni dellintera opinione pubblica: lattenzione per la nostra storia artistica potrà diventare consuetudine nel contesto di una formazione scolastica giovanile ma come si è adulti nellambito di tante altre categorie dello spirito altrettanto nei riguardi della storia ogni cittadino e la classe politica che lo rappresenta avrà attenzioni confacenti con la propria natura appunto di cittadino civicamente e liberamente formatosi nellautonomia delle proprie conoscenze e sensibilità intellettuali. Perciò è fuori luogo parlare del Mibac al pari della Strega delle favole perraultiane vista come motivo di ogni male iniziale e maleficio nei riguardi del bistrattato (ma quanto poi?) patrimonio cult urale (il consueto bambino impaurito e sperduto nel bosco delle medesime favole). Tantè che - come ogni morale della favola esige - cè sempre il gigante buono o un Re dai poteri magici a cui rivolgersi per superare ogni paura o difficoltà. Inadeguatezza contingente di metodo nei confronti della tutela non è dunque lazione di un Ministero di cui si ritiene che nei suoi vertici mortifichi larte nazionale bensì è ritenere ancora diffusi e facilmente comprensibili dai più i valori fondamentali, propri e specifici di ciò che è stata e che ha rappresentato nel suo complesso la produzione artistica occidentale sino alla fine del Novecento. Lo storico dellarte (o larcheologo) svolga come sempre il proprio lavoro nellimpervio bosco simbolico dellattuale società che però, nella miriade delle sfaccettature antropologiche che viviamo, è andata ormai ben oltre i parametri culturali fin qui conosciuti e affrontati: resta invece del primigenio mondo dellarchetipo questo sì è leterno inconscio rivolgersi al re del Palazzo che tutti salva non già perché con la spada spiana i rovi del bosco ma perché, solo appellandolo, il bosco magicamente non esiste.
5/8/2010
Francesco Floccia |