Audizione informale di ECCOM sul Nuovo Codice - Camera dei Deputati 2004-01-09
ECCOM-Centro Europeo per l'Organizzazione e il Management Culturale, in seguito alla richiesta di audizione da parte di codesta Commissione, inoltra le seguenti osservazioni in merito al progetto di codice dei Beni Culturali attualmente in discussione.
Il progetto di codice dei Beni Culturali predisposto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali appare limitato, discutibile e contraddittorio sia nella filosofia di fondo sia nel dettaglio dei singoli specifici indirizzi normativi, per almeno due ordini di ragioni:
a) la materia dei beni culturali aspetta da alcuni decenni un sistematico ridisegno normativo che adegui il quadro istituzionale, la responsabilità e l'autonomia finanziaria, nonché le relazioni tra Stato ed Enti subcentrali e tra settore pubblico e privato alle mutate e più complesse esigenze del comparto culturale. Il codice ignora del tutto questa necessità, limitando il proprio campo d'intervento a una parte della materia la cui efficacia è fortemente legata al funzionamento complessivo del comparto. In sintesi, emanare delle norme sui beni culturali senza adeguare la disciplina delle organizzazioni culturali e della loro autonomia finanziaria e gestionare appare il sintomo di una scarsa volontà di riforma;
b) la lettura del progetto di codice mostra con chiarezza l'unica evidente preoccupazione del governo, cui il legislatore dovrebbe opporre un fermo rifiuto: ridurre progressivamente le responsabilità statali sui beni culturali, soprattutto sulla base di considerazioni finanziarie; la dismissione dei beni culturali, o in subordine la loro concessione a non meglio identificati privati e sulla base di norme ambigue e generiche, sembra essere l'unica priorità del governo, che con questo progetto inverte disinvoltamente il principio di fondo che ha sempre dominato il campo culturale: i beni culturali sono inalienabili, e la loro alienazione può soltanto rappresentare un'eccezione adeguatamente motivata; al contrario, il governo rende i beni culturali di norma alienabili, salvo che non si dimostri - con un procedimento frettoloso e fondato su indirizzi generici - l'interesse specifico alla loro permanenza nel demanio statale.
In questo senso, appare paradossale - anche in seguito ad una serie di dichiarazioni formali del Ministro Urbani sull'importanza dei beni culturali in Italia - che il patrimonio culturale venga considerato alla stregua di una fastidiosa zavorra, mentre la generalità dei Paesi tende sempre di più a ritenerlo un efficace volano di sviluppo economico e di crescita del benessere, elaborando intorno al patrimonio stesso una strategia complessiva di ridisegno dei centri urbani e del paesaggio, di integrazione tra conservazione e valorizzazione, di osmosi tra la fertilità creativa e la crescita del turismo interno e internazionale. L'Italia, che si vanta di possedere un patrimonio culturale unico al mondo, stranamente rinuncia a promuoverne un'effettiva e organica valorizzazione, limitandosi a disciplinarne l'uscita dall'alveo e dalla responsabilità statale per godere di qualche effimero sollievo sul piano finanziario.
Nel quadro dell'insoddisfazione più netta per i motivi di fondo appena esposti, va rilevato che, nel dettaglio della normativa proposta, il codice che si minaccia di introdurre appare ugualmente debole, costituendo un chiaro rischio per i beni culturali del Paese, dal momento che la disciplina prevista può realisticamente generare dei danni irreversibili sia a singoli beni culturali sia al patrimonio culturale nel suo complesso. In questo senso, si possono svolgere alcune osservazioni, chiedendo agli Onorevoli Commissari di riflettere senza pregiudizi sui gravi guasti al sistema culturale italiano che possono derivare dall'approvazione del codice.
Né vale ad attenuare la delusione per un provvedimento a lungo annunciato, e in sostanza così fragile e pericoloso, la rassicurazione - che il governo ha talvolta usato nel corso di questa legislatura - che eventuali problemi creati dal disegno del codice possono essere corretti successivamente con interventi di adeguamento della normativa introdotta: nel caso dei beni culturali lo stesso verificarsi di un problema coincide di norma con l'irreversibile perdita - giuridica, economica o addirittura materiale - dei beni culturali interessati.
ECCOM, nella consapevolezza che numerosi esperti, operatori del settore e studiosi hanno rivolto critiche molto specifiche al codice proposto, si associa al sentimento di sgomento per un provvedimento che ribalta radicalmente l'attenzione dello Stato per i beni culturali; propone comunque le proprie riflessioni sui punti seguenti:
il codice appare contraddittorio già nella definizione di bene culturale e di interesse (o rilevanza) culturale, limitando la propria prospettiva all'identità nazionale e trascurando del tutto le molteplici valenze dei beni culturali, ad esempio quali fattori di integrazione sociale; inoltre ignora del tutto il patrimonio culturale immateriale, accreditando un'accezione obsoleta e parziale del campo culturale;
il codice sposta il fulcro dell'azione statale da una pervasiva tutela del patrimonio culturale alla sua notarile dismissione; che il bene culturale diventi per effetto del codice alienabile salvo prova contraria ne indebolisce la rilevanza e il ruolo cruciale ai fini del benessere individuale e nazionale;
il codice disciplina esclusivamente casi e modalità di diminuzione del patrimonio culturale italiano, rigettando in nuce la possibilità che quanto meno il patrimonio possa anche aumentare attraverso l'acquisizione di nuovi beni culturali;
il codice opera un ulteriore ribaltamento delle priorità, disciplinando in modo estremanente impreciso gli interventi istituzionali: non indica quali organi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali sono preposti a svolgere le azioni previste, e soprattutto lascia le decisioni finali, in caso di controversia con altre istituzioni, al Presidente del Consiglio, che è privo per definizione di competenze tecniche e che deve tendere al raggiungimento di posizioni comuni: in questo senso si può realisticamente prevedere il "sacrificio" del beni culturali ogni qual volta si presenterà un'esigenza del Ministero per le Infrastrutture;
il codice prevede una serie di obblighi e divieti, senza però introdurre alcuna disciplina correttiva: sia le altre istituzioni pubbliche sia i privati, sottoposti ad esempio al vincolo di destinazione, non trovano nel codice alcuna norma che preveda l'effettuazione di controlli e verifiche, né alcuna sanzione nel caso di violazione; in molti casi basterebbe prevedere la nullità del contratto di cessione del bene nel caso di inadempimento;
il codice chiede al Ministero per i Beni e le Attività Culturali una serie di interventi tecnici, senza mai specificare quali debbano essere gli organi preposti; in ogni caso, ritenendosi ragionevolmente che non possa trattarsi che delle Soprintendenze, il codice non indica con quali nuove risorse umane e finanziarie esse potrebbero svolgere i compiti assegnati, anzi tende a depauperare gli organi periferici del Ministero di una serie importante di competenze e professionalità delle quali essi godono da lungo tempo;
il codice mostra uno scarsissimo interesse per la fruizione: i beni culturali sembrano essere oggetti da vendere, e in subordine da conservare; il diritto alla loro fruizione va non soltanto garantito sul piano formale, ma incentivato in termini concreti; ne soffrono tra gli altri il settore della didattica culturale, per la quale si prevedono accordi con le scuole ma nessun tipo di valorizzazione efficace delle risorse interne in modo da accrescere notevolmente il grado di soddisfazione dei fruitori;
il codice appare ambiguo e impreciso in molti punti; per fare un esempio, all'art. 120 parla di "livelli di valorizzazione", introducendo così un concetto proteiforme e indeterminato; il grado di confusione introdotto in questo modo rischia di rendere ancora più complessa, problematica e costosa la tutela, la gestione e la valorizzazione dei beni culturali italiani;
il codice ignora i problemi inerenti la dotazione di risorse umane da parte dell'amministrazione statale, sia in termini di adeguamento dei percorsi formativi e dei profili professionali, sia sotto il profilo della valorizzazione effettiva dei professionisti operanti all'interno del Ministero e delle Soprintendenze attraverso un sostanziale allentamento dei vincoli e delle rigidità attualmente presenti; anche soltanto realizzare la normativa proposta dal codice risulta di enorme difficoltà con l'attuale assetto del personale.
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