Lettera del Prof. Leopoldo Elia per il ricorso di Italia Nostra al Tar di Ancona 2004-09-27
Avv. Giovanni Pallottino. Patrono dell’Associazione Italia Nostra nel ricorso al TAR delle Marche per l’annullamento del DPR 10 giugno 2004, n. 173 (regolamento di organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività culturali).
Gentile Avvocato,
nella mia qualità di docente ormai emerito di Diritto costituzionale sento il dovere etico e civico di segnalarle la necessità di precisare alcuni aspetti in tema di rapporti tra le fonti normative che hanno da ultimo prodotto l’impugnato regolamento.
Com’è noto, la normativa sull’organizzazione dei ministeri, in base al D. Lgs. n. 300 del 1999 (art. 4), specificata in relazione alla dotazione organica, all’individuazione degli uffici di livello dirigenziale e al loro numero, alle relative funzioni e alla distribuzione dei posti di funzione dirigenziale e, infine, alla definizione dei rispettivi compiti, è stabilita con regolamenti o con decreti del ministro emanati ai sensi dell’art. 17, comma 4 bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400.
In effetti l’art. 13, comma 1, della L. n. 59 del 1997 (in questo caso legge abilitante piuttosto che di delega) ha novellato in modo espresso la disciplina generale dei regolamenti governativi contenuta nell’art. 17 della legge n. 400 del 1988.
Non è mia intenzione soffermarmi su quella che fondatamente è stata qualificata come rottura del modello di delegificazione prefigurata nella legge n. 400 e sicuramente rispettosa degli equilibri costituzionali Parlamento-Governo (cfr. in questi termini F. Sorrentino, Le fonti del diritto amministrativo, Padova, 2004, p. 247 e ss.; N. Lupo, Dalla legge al regolamento, Bologna, 2003, p. 224 e ss.; G. Tarli Barbieri, La grande espansione della delegazione legislativa nel più recente periodo in Le deleghe legislative a cura di P. Caretti – A. Ruggeri, Milano, 2003, p. 88 e ss.).
È sufficiente ai fini di questo appunto sottolineare che tale aspetto normativo si è consolidato nell’ultimo quinquennio, affermandosi come complesso di principi e regole di diritto comune per i 12 Ministeri previsti dal D. Legs. n. 300 (poi 14 nella XIV Legislatura).
Nel quadro di questo diritto comune rientrava pienamente il DPR n. 441/2000, che costituiva per il Ministero Beni e Attività Culturali l’applicazione dell’art. 4 del decreto legislativo n. 300 (primo regolamento di organizzazione del Ministero).
Ma si esce legittimamente da questo quadro quando si riparte da una legge (la L. 6 luglio 2002, n. 137) con la quale si delega il Governo (art. 10) ad adottare entro diciotto mesi uno o più decreti legislativi per “il riassetto” delle disposizioni legislative, tra le altre, in materia di beni culturali e ambientali, tenuto conto, tra i principi e i criteri direttivi della delega, dell’adeguamento ai sopravvenuti artt. 117 e 118 del nuovo Tit. V, come risultante dalla legge di revisione costituzionale n. 3 del 2001.
Si sceglie così una via diversa da quella ricompressa nel diritto comune: alla filiera L. n. 59 del 1997 – D. Lgs. n. 300 del 1999 – DPR n. 441 del 2000 ed eventuali modificazioni si sostituisce una serie altrimenti caratterizzata che include la nuova legge delega (artt. 1 e 10 della L. 6 luglio 2002, n. 137 – il D. Lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 (significativamente intitolato “Riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali ai sensi dell’art. 1 della legge 6 luglio 2002, n. 137”; e infine il regolamento de quo agitur DPR 10 giugno 2004, n. 173.
Voglio dire che eletta una via, cioè quella della nuova legge-delega, non si può poi contaminare l’iter normativo prescelto con il ricorso all’art. 4 del D. Lgs. n. 300 che è strettamente collegato ai contenuti della legge-delega n. 59/1997 ed in particolare al suo art. 13 che opera la rottura del modello di delegificazione di cui ho detto sopra. Solo apparentemente si può parlare, a proposito del contenuto del D. Lgs. n. 3 del 2004 di intervento con il metodo della novella legislativa (così l’incipit del parere del Consiglio di Stato sullo schema di nuovo regolamento del ministero): la modifica di specifiche norme contenute in precedenti testi non toglie che sia cambiato il tipo di fonte (e di filiera delle fonti correlate).
Così solo la nuova legge-delega avrebbe potuto consentire al D. Lgs. di stabilire che l’organizzazione del Ministero fosse stabilita ai sensi dell’art. 54 del D.Lgs. n. 300 e successive modificazioni. Altrimenti, come è avvenuto con gli artt. 1, comma 4, e 4 del D.Lgs. n. 3/2004, si realizza un’autoattribuzione di poteri regolamentari (dall’esecutivo a se stesso) destinata ad incidere sul sistema giuridico delle fonti e, a monte, sugli equilibri costituzionali tra Parlamento e Governo (così Tarli Barbieri, cit. p. 95).
In dottrina si parla anche di “deleghe regolamentari” per sottolineare la necessità di una abilitazione diretta (o mediante chiara attribuzione alla facoltà del legislatore delegato) al fine di consentire la delegificazione anche al di fuori dello schema del derogato art. 17 della legge n. 400.
Ora, non vi è dubbio che nella legge-delega n. 137 del 2002 non si rinviene alcuna traccia di abilitazione diretta o indiretta alla delegificazione; ed è altrettanto certa l’inammissibilità, alla stregua dei principi che reggono i rapporti tra Parlamento e Governo, della autoattribuzione al Governo stesso del potere di delegificare norme legislative in vigore mediante abrogazione. Se si ripartiva con una nuova legge-delega, ed era necessario farlo, se non altro per adottare la scelta dipartimentale (abbandonando quella del segretario generale) e per istituire le Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, bisognava attenersi al rapporto che intercorre tra legge e poteri regolamentari delegificanti quando si interpone tra la legge di delega e il potere di normazione secondaria delegificante un decreto legislativo o legge delegata.
D’altra parte non è certo casuale che proprio per il Ministero per i beni e le attività culturali (oltre che per quello delle politiche agricole si sia preferito intervenire con una nuova legge delega: la delicatezza del rapporto tecnici-amministrativi nella tutela dei beni culturali e paesaggistici e l’incidenza sulla protezione degli interessi cui l’amministrazione è preposta (basti pensare all’apposizione di vincoli o agli appalti dei lavori di restauro) è di tutta evidenza.
Del resto oggi non si potrebbe più ripetere con O. Forlenza che i titolari delle direzioni regionali sono sempre dei tecnici, cioè appartenenti alla carriera dei soprintendenti.
L’incidenza sulla efficacia dei vincoli delle nuove regole è del resto confermata dal sistema piramidale gerarchico instaurato dal combinato disposto del D. Lgs. n. 3 del 2004 (art. 1, comma 4) e dell’ultimo regolamento in contrasto con “il più ampio decentramento amministrativo” nei servizi che dipendono dallo Stato (art. 5 Cost.) norma da osservare anche in ossequio al criterio dell’adeguamento ai nuovi artt. 117 e 118 Cost. secondo la prescrizione della legge-delega n. 137/2002.
Così l’accentramento si unisce alla svalutazione degli interventi dei soprintendenti di settore.
Ma questi rilievi ulteriori alludono a situazioni negative che in tanto si sono prodotte in quanto provocate da un Decreto legislativo incostituzionale proprio sul punto del conferimento dell’esecutivo a se stesso del potere regolamentare delegificante (violazione degli artt. 76 e 77, comma 1, Cost.).
All’incostituzionalità dell’art. 1, comma 4, del decreto legislativo consegue l’illegittimità costituzionale del regolamento 10 giugno 2004, n. 173.
Con i migliori saluti.
Prof. Leopoldo Elia
|