VII Commissione Senato - seduta del 20 ottobre 2004 (intesa con la CEI per tutela beni eccelsiatici) 2004-10-20
Seguito del dibattito sulle comunicazioni del Ministro per i beni e le attività culturali, rese nella seduta del 5 ottobre 2004, sullo schema di intesa con il Presidente della Conferenza episcopale italiana in ordine alla tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti e ad istituzioni ecclesiastiche
Riprende il dibattito, sospeso nella seduta del 13 ottobre scorso.
Ha la parola il senatore TESSITORE (DS-U) , il quale chiede alcuni chiarimenti in ordine alla definizione dei beni di interesse religioso, che lo schema di Intesa identifica con quelli a destinazione cultuale. Poiché esistono molte chiese ed altri edifici religiosi che, pur non essendo sconsacrati, sono tuttavia chiusi, egli ritiene che la definizione dello schema di Intesa sia eccessivamente limitativa, escludendo numerosi complessi di altissimo valore artistico che resterebbero oggetto di furti, depredazioni e degrado. Propone pertanto di ampliare la definizione ai beni a destinazione pastorale, che consentirebbe l'intervento anche su complessi di carattere religioso a forte valenza sociale e culturale. Ciò non altererebbe, a suo giudizio, le finalità dell'Intesa, né lederebbe le prerogative della Chiesa, privilegiando anzi la fruizione dei beni in relazione alla loro dimensione culturale e sociale.
Replica agli intervenuti nel dibattito il sottosegretario BONO, il quale esprime anzitutto soddisfazione per l’attenzione posta dalla Commissione allo schema di Intesa e per l’approfondito ed ampio dibattito svolto. Prima di entrare nel merito delle osservazioni formulate nel corso del dibattito, sottolinea poi che la materia della tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale ha trovato un suo organico assetto con il Codice dei beni culturali e del paesaggio entrato in vigore il 1° maggio 2004. Nell’ambito della disciplina dettata dal Codice, trova regolamentazione anche l’attività degli enti ecclesiastici rivolta al patrimonio culturale, in quanto, per la legge dello Stato, gli enti ecclesiastici sono persone giuridiche private non perseguenti scopo di lucro e, in quanto tali, sono dalla normativa codicistica tenute nella debita considerazione per ciascuno dei profili di attività che possono esercitare sui beni di loro proprietà (dalla conservazione, sulla base di appositi progetti debitamente approvati dalle soprintendenze statali titolari delle funzioni di tutela, alla fruizione e valorizzazione di detti beni, da attuarsi o in accordo con lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali, in una logica di servizi integrati, ai sensi dell’articolo 112 del Codice, o anche in autonomia, potendo in tal caso comunque contare sul sostegno pubblico, ai sensi dell’articolo 113 del Codice). In questo senso, prosegue il Sottosegretario, è evidente che l’Intesa può disciplinare, così come era peraltro previsto già dalla stessa normativa concordataria del 1985, le modalità per “armonizzare l’applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso”, secondo quanto disposto dall’articolo 12 della legge di modifica del Concordato lateranense. Peraltro, la previsione concordataria è in linea con la tradizione normativa del settore, posto che già nel regolamento di esecuzione della legge di tutela del 1909 era espressamente previsto che “le cose d’arte e di antichità” contenute “nelle chiese, loro dipendenze ed altri edifizi sacri” fossero “liberamente visibili a tutti” sia pure “in ore a ciò determinate”, salvo il caso che, qualora esse rivestissero “eccezionale valore”, potessero essere imposte “limitazioni al generale diritto di visita”; la regola testè menzionata era stata poi elaborata in termini di principio generale dall’articolo 8 della legge 1° giugno 1939, n.1089, in base al quale i poteri statali di tutela, qualora avessero avuto ad oggetto “cose appartenenti a beni ecclesiastici”, si sarebbero dovuti esercitare “per quanto riguarda le esigenze del culto, d’accordo con l’autorità ecclesiastica”. Quindi, prosegue il Sottosegretario, è perfettamente coerente sia con la ratio del sistema della tutela che con la tradizione normativa di settore che l’unico spazio concretamente praticabile per un accordo tra Stato e Chiesa abbia ad oggetto il contemperamento dell’esercizio dei poteri di tutela con le esigenze di culto, beninteso limitatamente agli edifici religiosi effettivamente aperti al culto. Infatti gli altri edifici religiosi di interesse culturale e non destinati al culto (quali ad esempio i Musei diocesani) sono a tutti gli effetti di legge istituti o luoghi della cultura di proprietà privata e come tali già disciplinati dagli articoli 101 e seguenti del Codice. Il Sottosegretario osserva inoltre che la legislazione in materia di tutela del patrimonio storico-artistico nazionale è di esclusiva pertinenza statale, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, della Costituzione riformata, ed anche le relative funzioni amministrative (fatte salve alcune limitate, ancorché significative, eccezioni in materia di beni librari e paesaggio) appartengono allo Stato per ragioni di unitarietà dell’azione amministrativa, come dispone l’articolo 4 del Codice. Pertanto, non vi sarebbe stata ragione di prevedere un coinvolgimento regionale in una attività riservata allo Stato; il coinvolgimento regionale è invece previsto, ed in misura pregnante, con riferimento alla valorizzazione; ma, non a caso, l’Intesa non disciplina la valorizzazione, per la quale il Codice detta principi generali nel cui rispetto le regioni ben possono, ai sensi dell’articolo 117, ultimo comma, della Costituzione riformata “concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato”. Quanto alle osservazioni emerse nel corso del dibattito, il Sottosegretario registra con soddisfazione che tutti gli intervenuti, sia pure con diverse sfumature, hanno espresso valutazioni nel complesso positive nei confronti dello schema di Intesa in esame. In ordine al quesito posto circa i rapporti fra l’inventariazione e la catalogazione del patrimonio culturale, il Sottosegretario evidenzia che la inventariazione è operazione conoscitiva di natura squisitamente patrimoniale consistente nella descrizione dell’oggetto inventariato sotto il profilo fisico-economico, mentre la catalogazione è operazione conoscitiva di carattere scientifico consistente nella individuazione, sia pure sommaria, delle caratteristiche storico-artistiche degli oggetti di proprietà ecclesiastica. Tali approcci conoscitivi concorrono entrambi a dare una compiuta informazione sui beni che ne sono oggetto ma, ovviamente, mentre il secondo è più propriamente compito istituzionale del Ministero, che perciò se ne assume direttamente la responsabilità, il primo costituisce il sostrato conoscitivo elementare che è incombenza di ogni proprietario curare e al quale lo Stato partecipa, in ragione della valenza culturale dei beni da inventariare. Per quel che attiene poi la segnalata mancanza di considerazione per gli enti locali nella soluzione in sede centrale di eventuali controversie in materia di contemperamento delle esigenze della tutela con quelle del culto, il Sottosegretario richiama quanto già detto in precedenza in ordine alla tutela dei beni culturali. Inoltre, quanto ai benefici fiscali, rammenta che l’Intesa non può dettare disposizioni di merito in materia, ma deve limitarsi ad individuare percorsi procedurali che rendano quanto più tempestivo e sollecito possibile il rilascio delle certificazioni amministrative necessarie per il conseguimento degli sgravi fiscali. Quanto alla preoccupazione espressa in ordine alla previsione di un generico obbligo per la Chiesa di utilizzare personale qualificato per l’esecuzione di interventi di restauro, il Sottosegretario ricorda che gli enti ecclesiastici sono, per l’ordinamento giuridico italiano, soggetti giuridici privati non perseguenti scopi di lucro ai quali, pertanto, non può imporsi in modo autoritativo il rispetto della normativa sulla qualificazione delle imprese partecipanti a pubblici appalti. Perciò l’obbligo convenzionalmente contratto dalla Chiesa di avvalersi di soggetti esecutori dotati dei requisiti professionali previsti dalla legislazione statale di settore è il massimo che si potesse conseguire nelle condizioni date. Per quanto poi riguarda le perplessità circa l’eccessiva verticalizzazione dei processi decisionali in caso di mancato contemperamento in sede locale delle esigenze della tutela con quelle del culto, il Sottosegretario fa presente che la soluzione delle controversie insorte in materia è spostata al centro solo quando i livelli decisionali periferici non si dimostrino in grado di trovare soddisfacenti ed equilibrate soluzioni. Pertanto l’intervento dell’Amministrazione centrale, più che essere invasivo di autonome competenze delle strutture ministeriali periferiche, costituisce un momento necessario di indirizzo e raccordo che viene attivato dalle stesse realtà periferiche. Ovviamente non a caso nell’Intesa non si danno contenuti ai termini ivi adoperati di inventariazione, catalogazione, conservazione, restauro: data la pregnante valenza tecnica di detti termini, il loro contenuto è quello già descritto e disciplinato dal Codice al quale va quindi fatto riferimento per la loro corretta interpretazione. Quanto alla mancanza di un apposito accordo con altre confessioni religiose, il Sottosegretario sottolinea che con esse si provvederà a termini dell’articolo 9, comma 1, del Codice, che comunque prevede la possibilità di procedere alla stipula di analoghi atti negoziali. Inoltre, in merito al lamentato declassamento delle “richieste” di finanziamento avanzate dai vescovi per beni di interesse religioso in “proposte”, precisa che tali sono anche gli atti programmatici predisposti, sentiti pure i vescovi, dalle competenti soprintendenze e inoltrati poi, per il tramite dei direttori regionali, all’Amministrazione centrale per la relativa approvazione: pertanto la diversa terminologia, lungi dal mortificare il ruolo dei vescovi nel mettere a punto la proposta complessiva di programma, lo esalta dando dignità procedimentale ai fini della elaborazione della proposta sopradetta da parte degli uffici periferici. Quanto infine alla proposta del senatore Tessitore, egli la giudica condivisibile nel merito e si impegna a rappresentarla al Ministro, confidando che essa possa essere accolta.
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